Debutta nelle librerie "Armatevi e morite", lo "sconsiglio" dei noti giornalisti e saggisti Pietrangelo Buttafuoco e Carmelo Abbate. Un miscuglio di statistiche a senso unico, elucubrazioni mentali ma, soprattutto, tanta confusione anche sui concetti più basilari
Proprio quando la politica sembra ormai rassegnata a delegare alla prossima legislatura il completamento della riforma della normativa sulla legittima difesa, piomba come un fulmine a ciel sereno il libro "Armatevi e morite" (Sperling & Kupfer), scritto dai noti giornalisti e saggisti Pietrangelo Buttafuoco e Carmelo Abbate e dedicato a… sconsigliare la "difesa fai-da-te". 180 pagine nelle quali, con prosa immaginifica, scorrono e soprattutto si intersecano concetti diversissimi: dall'Italia dei Comuni alla mafia, all'eterno gioco di destra e sinistra, senza farsi mancare ovviamente l'attualità (stupri, immigrazione…) e soprattutto tanti, tanti Stati Uniti, perché è ovvio (è ovvio? Mah…) che se devi parlare della situazione italiana, devi per prima cosa immergerti nella situazione americana, nelle sue sparatorie, nei suoi Bowling a Columbine eccetera eccetera. Ogni singola affermazione, ovviamente, può trovare il lettore d'accordo o in disaccordo, ma la cosa che di primo acchito non può non lasciare perplessi (minando alla radice ogni validità sociologica all'intera opera) è che, a quanto pare, la cosa che proprio non è chiara ai due autori è quale differenza sussista tra la legittima difesa e la giustizia fai-da-te. Per quale motivo, altrimenti, dovrebbe esserci una valida ragione per intrattenersi lungamente sulle vicende sfortunate di Felice Cavallotti e sulla normativa che nei tempi passati regolamentava il duello "come mezzo per risolvere le controversie"? Che cosa mai diavolo c'entra l'onore di un papavero del tempo che fu con l'atterrito cittadino che scopre nella propria camera da letto un intruso? Ancora più sconcertante è il parallelismo tra l'assenza dello Stato e, specialmente in alcune regioni, la presenza dell'altro Stato, cioè la mafia: "Dove c'è la mafia c'è qualcuno a cui rivolgerti se ti hanno rubato la macchina. Invece di perdere mezza giornata di lavoro seduto come un babbione dentro la stanza di una caserma dei carabinieri e guardare il calendario dei carabinieri appeso al muro, per poi scrivere insieme il verbale di una denuncia che tanto non serve a nulla, si fa prima ad andare dove non ti fanno aspettare ed entrare dove le porte sono sempre aperte per tutti gli amici che necessitano di una cortesia".
E che l'equivoco non sia involontario, non sia un lapsus del momento, è reso del tutto evidente dal fatto che praticamente in ogni capitolo, si trova una diversa forma per riproporlo: "Certo", commentano gli autori in apertura del capitolo "alla conquista della civiltà", "lo Stato non è perfetto, e troppo spesso il cittadino si sente abbandonato in balia dei delinquenti. Ma anche la sanità a volte non è impeccabile, tra liste d'attesa infinite, strutture inadeguate, assistenza indegna ed errori fatali. Eppure nessuno si sogna di togliere di mezzo lo Stato per gestirsi la cura della salute a casa propria". Ah, no? Vogliamo parlare di quando hai bisogno di una Tac perché ti dicono che nel tuo polmone c'è una "macchiolina" che bisognerebbe "indagare" e con la mutua ti danno l'appuntamento per l'anno dopo? Il cittadino certamente non si compra una macchina per la Tac, ma l'appuntamento in clinica privata magari lo prende eccome, senza che per questo si gridi alla "giustizia fai-da-te"…
L'equivoco è talmente radicato da influenzare anche i paragoni più arditi: "Fate un salto al Palazzo pubblico di Siena, entrate nella sala del Consiglio dei Nove e fermatevi davanti al ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, maestro della scuola senese del Trecento. Nell'allegoria del buon governo si rappresentano la pace e la concordia di una cittadina. E come vengono mantenuti l'armonia e il quieto vivere? Grazie a una giustizia, che è una delle virtù civili lì rappresentate e personificate. Impugna una spada e una testa mozzata. Poco più in basso, al suo servizio, le guardie armate di lance sorvegliano i prigionieri dalle mani legate. Il messaggio è chiaro: la giustizia è nelle mani dello Stato e questo garantisce tranquillità e concordia per tutti". E questo che cosa c'entra? Cosa c'entra il monopolio della giustizia, con il diritto a sopravvivere al "pericolo attuale di un'offesa ingiusta", come dice l'articolo 52 del Codice penale? Possibile che due concetti così differenti debbano trovarsi ignobilmente mischiati?
Per un approfondimento dell'argomento, leggete l'articolo che pubblicheremo su Armi e Tiro di novembre!