Il suicidio di un caporalmaggiore in servizio per l'operazione "Strade sicure" rappresenta il terzo caso simile in sei mesi. C'è chi parla di forte stress psicofisico per i militari impegnati nel presidio delle nostre strade
Il dramma del giovane caporalmaggiore dei granatieri di Sardegna che si è tolto la vita a Roma durante l’espletamento del servizio di sorveglianza nell’ambito dell’operazione “strade sicure” rappresenta il terzo caso di suicidio in sei mesi tra i militari impegnati in questo tipo di attività: lo scorso febbraio è stato un bersagliere di Taranto a compiere l’insano gesto, sempre durante una pausa nel servizio, e sempre a Roma, nel dicembre dello scorso anno invece è stata la volta di un altro granatiere, in servizio a Spoleto, impiccatosi durante una licenza.
Per questo motivo, c’è chi comincia a sostenere che non si tratti di tragiche fatalità legate a drammi personali, ma che a creare, o quantomeno favorire, l’insorgere di condizioni psicofisiche predisponenti una scelta estrema possa anche essere un forte affaticamento psicofisico legato alle condizioni nelle quali i militari dell’operazione strade sicure sono costretti a svolgere il proprio servizio. Si apprende, in effetti, che 150 militari dell’operazione Strade sicure avrebbero presentato un atto di intimazione al ministero della Difesa e al capo di Stato maggiore dell’esercito per chiedere il rispetto del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, eccependo che attualmente le consegne di servizio prevedono di restare impiedi all’esterno dei mezzi per sei ore consecutive, portando addosso armi ed equipaggiamento per un peso complessivo superiore ai 20 chilogrammi.
L’esercito ha assicurato la massima collaborazione nel far luce su questa vicenda, respingendo però le facili strumentalizzazioni e confermando che “la tutela del personale è un tema importante per noi”.