Salvador Ramos, un ragazzo di soli 18 anni, ha aperto il fuoco nella scuola elementare della città texana di Uvalde, uccidendo almeno 19 bambini e un insegnante, per essere poi ucciso dalla polizia. Prima di iniziare il suo folle progetto, ha anche sparato a sua nonna che, probabilmente, aveva cercato di fermarlo.
Si tratta della peggior strage di minori avvenuta negli Stati Uniti, che ha superato tragicamente il bilancio della tristemente famosa scuola di Columbine.
L’accaduto ha ovviamente riacceso in modo pressoché istantaneo il dibattito sulla normativa in materia di armi: in particolare il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha commentato in una dichiarazione pubblica “L’idea che un 18enne possa entrare in un negozio e acquistare un fucile è sbagliata. Perché queste sparatorie non accadono in altre parti del mondo? Perché vogliamo vivere con queste carneficine? È il momento di trasformare il dolore in azione e agire sulle armi”.
Il riferimento citato da Biden non è casuale, il Texas è in effetti tra gli Stati americani uno dei più permissivi in materia di armi.
Nelle stesse ore, anche il senatore texano Ted Cruz ha rilasciato una dichiarazione, sempre sul tema delle armi: “inevitabilmente, quando c’è un omicidio di questo tipo, i politici cercano di politicizzarlo. Per i Democratici e molte persone dei media la soluzione è limitare i diritti costituzionali dei cittadini rispettosi della legge. Non funziona”.
Su una cosa, il presidente Joe Biden ha ragione: il fenomeno dei mass shooting, delle stragi di massa, è tipicamente americano e senza dubbio la normativa di molti Stati americani prevede una facilità di accesso all’acquisto di armi semplicemente sconosciuta in Europa. Occorre, tuttavia, anche interrogarsi sugli altri fattori che si stanno evidenziando in modo sempre più preponderante nell’esecuzione di questi atti di insensata pazzia, il primo e più importante dei quali è l’età sempre più giovane degli autori che, in molti casi (incluso, a quanto pare, quest’ultimo) evidenziano a posteriori un vissuto di emarginazione sociale.
E d’altro canto esistono nel mondo, e in Europa, Paesi nei quali la normativa in materia di armi è piuttosto liberale, nei quali Paesi tuttavia il fenomeno dei mass shooting è sconosciuto. Appare, quindi, perlomeno riduttivo concentrarsi sugli strumenti in astratto utilizzabili per commettere questi crimini, piuttosto che sulle cause profonde, identificando e auspicabilmente risolvendo le quali, tuttavia, si potrebbero ottenere risultati pratici ben superiori.
Occorrerà quindi interrogarsi, oltre alla disponibilità degli strumenti con i quali vengono perpetrati questi crimini osceni, se non sia il caso di ripensare anche il modello educativo e sociale nel quale vengono fatti crescere i ragazzi della federazione a stelle e strisce. A patto che la guerra ai “black rifle” non serva come comodo capro espiatorio per consentire alla politica di lavarsi frettolosamente la coscienza, continuando a mantenere le profonde sperequazioni che in modo sempre più evidente caratterizzano la società americana.