Il 21 dicembre David Kozak, studente universitario, è salito sul tetto della facoltà di Filosofia dell’Università Carlo di Praga e ha iniziato a sparare, uccidendo 15 persone e ferendone 24.
I mass killing (uccisioni di massa) non vengono certo compiuti solo con l’uso delle armi da fuoco. Tuttavia, come precisato in commento alla strage di Uvalde, la passione per le armi e per i “mestieri delle armi” non fanno dimenticare allo studioso la loro natura di strumenti intrinsecamente pericolosi. Anzi, proprio la passione e la convinzione della necessità a che i “guardiani” proteggano la società anche con le armi ci deve far considerare ogni fattore possibile e spendere ogni riflessione spendibile nel tentativo di capire quale origine abbiano questi fenomeni e cosa possiamo fare per prevenirli e contrastarli.
Le scuole restano uno dei bersagli più afflitti da questo genere di azioni
Purtroppo i mass shooting avvengono molto spesso proprio in danno di contesti con i quali il killer ha un legame e che in qualche modo, nella sua convinzione, hanno contribuito a generare i risentimenti che in modo patologico diventano poi odio e infine uccisione.
In diverse occasioni abbiamo analizzato questo genere di eventi, riportando anche ogni spunto che la letteratura di settore può offrire sulla strada del maggior irrobustimento possibile di questa tipologia di soft target, davvero vulnerabili.
In questa occasione, però, colpisce in modo particolare il profilo del killer, che sta emergendo mano a mano che trapelano notizie sui suoi comportamenti e sulle sue dichiarazioni che hanno anticipato l’evento. Non ci soffermeremo, quindi, sulla protezione delle infrastrutture, sull’analisi del modus operandi, sulla questione armi sì/armi no (giacché i mass killing, avvengono con tutti gli strumenti immaginabili) e nemmeno sulle possibilità di intercettare il killer prima dell’azione. Ci chiederemo, invece, se è possibile interrompere la strada in cui viene sublimato l’odio.
Il profilo del killer: i disagi e il “modello mass shooting”
All’inizio di dicembre del 2021 commentammo l’arresto di quattro studenti che stavano pianificando una sparatoria presso la loro scuola, la Dunmore High School in Pennsylvania, esattamente nel 25° anniversario del massacro alla Columbine High School. Oggi Kozak, nei suoi messaggi sul web precedenti al massacro, cita come fonte di ispirazione Alina Afanaskina, quattordicenne che uccise un compagno e ne ferì altri 4 prima di suicidarsi in una scuola in Russia il 7 dicembre e anche Ilnaz Galavyev, autore della strage a Kazan, Tatarstan, nel 2021.
In tutti i casi, si tratta quindi di ragazzi che maturano odio verso la società e forte risentimento specifico nei confronti degli ambienti dai quali ritengono che derivi la loro frustrazione, tra i quali la scuola in primis, crocevia di istruzione, socializzazione, rispetto di regole e gerarchie, finendo poi per trovare nel “modello mass shooting” la via che canalizza e catalizza il proprio odio.
Studiano i precedenti, si documentano, si convincono della necessità di dover restituire quell’odio che ritengono di aver ricevuto, si immedesimano in killer che li hanno preceduti e che forse, ai loro occhi, appaiono come le uniche persone che si siano trovate a provare quelle stesse sensazioni, finendo per ammirarne e infine imitarne i gesti.
Kozak, tra l’altro, descrive bene la sua escalation. Racconta di come abbia pensato dapprima di dover genericamente uccidere, per poi trovarsi a scegliere la modalità con cui farlo. Scartata l’idea di diventare un killer seriale, ha scelto poi la via del mass killer. Agli occhi dello studioso, peraltro, la scelta appare scontata, perché il killer seriale risponde a tutt’altro profilo. Kozak aveva bisogno di gridare e svuotare la pancia dal rancore, bisogno che non sarebbe mai stato appagato da uccisioni seriali compiute in sordina e diluite nel tempo, che tra l’altro richiedono di sapere e poter condurre una doppia vita: no, il mass killer non conduce una doppia vita, il mass killer deve “svoltare”, possibilmente alla grande e senza via di ritorno.
Infatti uccide prima il padre, non sappiamo se a causa di rancori specifici o se al solo fine di dare il via all’escalation, dopo di che mette in scena il copione che culmina con il suo suicidio.
Le dichiarazioni e gli atti preparatori
Ecco che l’odio maturato e razionalizzato raggiunge un punto di non ritorno, favorito dall’incapacità di relazionarsi con il resto del mondo, che diventa al tempo stesso causa del male e vittima designata.
A differenza di chi agisce in ambito terroristico, si tratta di soggetti non attenzionati dalle forze di sicurezza, che possono quindi permettersi di studiare i precedenti, preparare l’attacco e addirittura dichiarare le proprie intenzioni sul web: “Mi presento, mi chiamo David e voglio fare una sparatoria a scuola e possibilmente suicidarmi… ho sempre voluto uccidere, pensavo che sarei diventato un maniaco in futuro” ma “ho realizzato che era molto più conveniente fare una strage di massa invece di essere un serial killer“, scriveva su Telegram.
Viene da chiedersi come sia possibile che i potenti algoritmi social, in grado di intercettare ogni nostra azione sul web, ricavarne un profilo e proporci la pubblicità giusta al momento giusto, non possano aiutare in questo senso.
Infatti, nel caso di Kozak è stata ancora una volta l’attenzione umana ad aver colto i segnali preoccupanti, sebbene non in modo così preciso e tempestivo da evitare la strage. Pare, infatti, che proprio la madre avesse allertato la polizia circa intenzioni del figlio di suicidarsi nell’ateneo, e che le forze di sicurezza sarebbero intervenute partendo, però, dalla palazzina sbagliata.
Tralasciando le potenzialità (e responsabilità) dei social media, come è possibile, dunque, che tali intenzioni, atti preparatori e dichiarazioni sfuggano anche alla rete umana e personale del killer?
Come si previene l’odio?
In alcuni casi la risposta è semplice: alcuni killer sono persone davvero del tutto isolate e prive di una rete interpersonale, è infatti nella chiusura al mondo che l’odio può prendere la sua iperbole ed autogiustificarsi.
Nel caso degli studenti, però, molto spesso esistono momenti di scambio, confronto e osservazione: famiglie, eventuali reti amicali e la scuola stessa offrono grandi spunti di osservazione dei comportamenti. Indubbiamente le opportunità di cogliere segnali anticipatori di questo genere di azioni, pur deboli, sono concrete, come è concreta la conseguente potenzialità di interrompere la preparazione di eventi simili e salvare vite. Ma proviamo per un attimo ad andare oltre.
Se anziché intercettare atti preparatori, ultimo anello della catena, fossimo in grado di intercettare la crescita esponenziale dell’odio e la trasformazione radicale dell’individuo? Se il disagio fosse intercettato prima che sia troppo tardi? E se un Kozak avesse ricevuto attenzioni e supporto prima di chiudere il suo personale bilancio con il mondo e diventare il killer che ha sparato dal tetto sui compagni?
Per una volta ci fermiamo a chiederci non tanto e solo come poter difendere al meglio una tipologia di target o come poter intercettare un killer prima che compia la sua azione senza ritorno.
Per una volta ci fermiamo a chiederci se ed eventualmente come sia possibile intercettare per tempo l’odio che trasforma un ragazzo in un mass killer, prima che tutte le pressioni che riceve dalla società, evidentemente mal gestite, mal sopportate e in qualche caso anche innestate su problemi psichici, lo trasformino in carnefice.
In una società che ti entra in casa con prepotenza con qualsiasi pretesto, che invade la nostra vita privata con mille strumenti, è possibile che nessuno si fosse accorto dei disagi di Kozak?
Si fa per dire. Si fa per sperare, che almeno a Natale ci sia consentito.