Nel settembre del 2007, il gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) aveva depositato un progetto di legge firmato da oltre 100 mila cittadini, per impedire l’esportazione e il transito di materiale bellico attraverso la Svizzera, comprese le tecnologie utilizzabili per la sua produzione. Ieri, il consiglio federale ha però respinto l’iniziativa, perché metterebbe in pericolo l’esistenza stessa dell’industria militare svizzera e con essa anche la difesa nazion…
Nel settembre del 2007, il gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) aveva
depositato un progetto di legge firmato da oltre 100 mila cittadini, per
impedire l’esportazione e il transito di materiale bellico attraverso la
Svizzera, comprese le tecnologie utilizzabili per la sua produzione. Ieri, il
consiglio federale ha però respinto l’iniziativa, perché metterebbe in pericolo
l’esistenza stessa dell’industria militare svizzera e con essa anche la difesa
nazionale, per non parlare dei posti di lavoro. Secondo quanto riferito
dall’esecutivo, infatti, nel 2007 la Svizzera ha esportato materiale militare
per 464 milioni di franchi, pari allo 0,35 per cento del Pil. Il gruppo Ruag
vende i due terzi dei suoi prodotti all’estero. Se il disegno di legge fosse
approvato, l’industria della difesa Svizzera si troverebbe in grave difficoltà
e lo stesso esercito elvetico dipenderebbe dall’estero per gli armamenti. Sono
ben 5.100 i posti di lavoro a rischio, che potrebbero raddoppiare considerando
l’indotto. Inoltre, secondo il ddl la confederazione dovrebbe sostenere per
dieci anni le regioni più danneggiate dal divieto, per una spesa prevista di
mezzo miliardo di franchi. Il governo non ritiene di dover presentare alcun
controprogetto, perché l’attuale legge sul materiale bellico e quella sul
controllo dei beni utilizzabili a fini civili e militari sono adeguatamente
restrittive in rapporto ad altri Stati e tengono conto in modo equilibrato
degli interessi divergenti in gioco.