Con sentenza numero 44 del 18 marzo 2024, il Tar di Trento ha respinto il ricorso di un cittadino che si era visto notificare il divieto di detenzione di armi e munizioni, dopo che era stato oggetto di un provvedimento di ammonimento da parte della stessa questura della provincia autonoma, in seguito a una serie incessante di telefonate, a qualsiasi ora del giorno e della notte, nei confronti dell’ex moglie. In seguito, c’è evidenza del fatto che i rapporti tra i due ex coniugi si siano distesi, ma il giudizio da parte del Tar è stato comunque di segno negativo, con la seguente motivazione: “Il decreto di divieto di detenzione di armi del Questore e del pari il provvedimento di secondo grado del Commissario del Governo sono stati adottati principalmente ai sensi dell’art. 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in legge 23 aprile 2009, n. 38. L’ultimo periodo del comma 2 del suddetto art. 8, per effetto della modifica apportata dall’art. 1, quarto comma, del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, dispone: “Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni”. Antecedentemente alla suddetta novella la previsione così stabiliva “Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni”. La surriportata disposizione di legge, diversamente da come sostiene il ricorrente, per un verso non attribuisce all’amministrazione un potere discrezionale nell’adozione – o meno – dei provvedimenti in materia di armi e munizioni nel caso di un soggetto ammonito. Nessuna ulteriore specifica valutazione della pericolosità sociale occorre, dunque, per vietare la detenzione ad un soggetto reso destinatario di un provvedimento di ammonimento e nei cui confronti in realtà è postulata l’adozione di ulteriori provvedimenti in materia di armi e munizioni di segno inevitabilmente negativo per la propria sfera giuridica, di fatto imposti dalla misura preventiva adottata nei suoi confronti. La condizione di ammonito, infatti, reca già in sé un implicito giudizio di sostanziale inaffidabilità quanto all’uso appropriato di armi, senza la necessità né di un particolare approfondimento istruttorio, né di un impegnativo corredo motivazionale quanto all’ulteriore e del tutto conseguente provvedimento di divieto adottato nei suoi confronti. Nel caso di specie, la Questura di Trento ha dapprima disposto il ritiro cautelare delle armi regolarmente detenute dal ricorrente, ex art. 39 del Tulps, eseguito in data -OMISSIS- dal personale della Compagnia Carabinieri di -OMISSIS-. Contestualmente i militari hanno ritirato, ai sensi del medesimo articolo, la licenza di porto di fucile ad uso caccia rilasciata dalla Questura di Trento in data -OMISSIS-, valevole fino al -OMISSIS-, dunque già scaduta al susseguente momento del divieto di detenzione di armi infine impartito il -OMISSIS- con il provvedimento del Questore oggetto del presente ricorso e a sua volta confermato con il provvedimento del Commissario del Governo del -OMISSIS- pure impugnato con il presente gravame. Giova ribadire che i due ultimi contestati provvedimenti sono stati adottati rispettivamente dal Questore e dal Commissario del Governo in via del tutto consequenziale a seguito dell’adozione del provvedimento di ammonimento, emesso nei confronti del ricorrente, già divenuto definitivo in quanto rimasto inoppugnato in sede giurisdizionale, e recano entrambi i riferimenti normativi correttamente individuati nell’art. 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in legge 23 aprile 2009, n. 38 come modificato dall’art. 1, quarto comma, del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119 nonché negli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, richiamando altresì la giurisprudenza consolidata in materia e motivando esaustivamente in ordine alle circostanze fattuali che ne costituiscono il presupposto. Ed invero vale evidenziare che nello specifico settore delle armi, l’esercizio del potere esercitato ai sensi degli anzidetti artt. 11 (“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: … a chi è sottoposto all’ammonizione” “Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’ autorizzazione.”) 39 (“Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne. Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma,…”) e 43 (“La licenza può essere ricusata … a chi … non dà affidamento di non abusare delle armi”) del Tulps non persegue scopi punitivi o sanzionatori, ma solo di natura cautelare a tutela dell’interesse generale della pubblica incolumità. Esso è esercitato mediante lo svolgimento di valutazioni discrezionali ad ampio spettro e che comunque necessariamente assegnano la prevalenza alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato, sì che non possano emergere sintomi e nemmeno sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati avente ad oggetto sia l'”an” del rilascio, per la prima volta di un titolo di polizia, ma anche sul “quomodo” della condotta del soggetto a sua volta già titolare dell’autorizzazione, con la conseguenza che quest’ultima potrà essere – rispettivamente – negata o ritirata quando sussistano contesti o situazioni (anche non derivanti da una colpa vera e propria del titolare) che lascino ragionevolmente ritenere che il beneficiario non dia pieno affidamento di non abusare dell’arma. (cfr. sul punto, ad es., Tar Sicilia, Catania, sez. IV, 1 dicembre 2023, n. 3634). La possibilità di detenzione e impiego delle armi da fuoco e del relativo munizionamento non formano, infatti, oggetto di un diritto assoluto ed incomprimibile del singolo, dovendo il suo esercizio essere conformato al preminente compito dello Stato di garantire i diritti inviolabili della persona, quali in primis il diritto alla vita, alla incolumità ed alla libertà di ciascuno, che potrebbero essere pregiudicati da un utilizzo illegale o comunque inappropriato delle armi (Corte cost., 20 marzo 2019, n. 109, che riafferma i principi già a sua volta espressi sin dalla sentenza 16 dicembre 1993, n. 440 e ribaditi dalla consolidata giurisprudenza tra cui, ex multis, Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2019, n. 8203). Quanto agli accadimenti successivi all’adozione dell’ammonimento, a buona ragione sono stati ritenuti irrilevanti sia in sede di adozione del provvedimento di divieto di detenzione di armi, sia in sede di decisione del successivo ricorso gerarchico avverso il provvedimento stesso. L’ammonimento che ha condotto all’adozione dei provvedimenti di divieto di detenzione di armi risale alla non remota data del -OMISSIS-, per cui non risulta illogico od arbitrario non aver preso in considerazione fatti successivi eventualmente esemplificativi – e, comunque, a tutt’oggi non ancora sedimentati nel tempo – di una susseguente distensione dei rapporti tra i due ex coniugi. Tenuto conto di quanto dianzi esposto circa la consequenzialità rispetto all’ammonimento del divieto di detenzione di armi, nella specie neppure risulta necessaria l’assunzione di sommarie informazioni dalla persona che ha presentato la segnalazione per l’ammonimento medesimo, di talchè non può ritenersi un difetto d’istruttoria la sua mancata audizione. Del pari ininfluente ai fini dell’interesse del ricorrente – il quale lamenta che il giudizio di pericolosità sociale sia stato formulato in assenza di perizia – risulta la relazione clinica predisposta a seguito della visita medica a cui il ricorrente si è sottoposto spontaneamente, relazione da cui peraltro emerge che al ricorrente medesimo pesa soprattutto la “macchia” subita con l’ammonimento (per cui imputet sibi la circostanza di non averne proposto l’impugnativa in sede giurisdizionale) mentre contestualmente e contra se ivi dichiara “non ho problemi con l’arma cui posso rinunciare in qualsiasi momento”. Il presupposto del divieto di detenzione di armi, si ribadisce, è l’inoppugnato ammonimento, il quale di per sé postula che il soggetto sia ritenuto capace di abusare delle armi; e, sempre con riguardo all’ammonimento medesimo, è appena il caso qui di rilevare che rispetto ad esso trova applicazione quella logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione (Cons. Stato, sez. III, 31 maggio 2022, n. 4422)”.