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Attenzione, però: spesso avviene che i 90 giorni vengano fatti partire non già dal momento in cui la documentazione viene consegnata all’organo periferico di ps (commissariato, stazione carabinieri), bensì da quando il materiale giunge in possesso dell’organo amministrativo preposto al procedimento amministrativo vero e proprio (quindi la questura).
Secondo le norme sulla trasparenza amministrativa, la questura sarebbe tenuta a inviare una comunicazione al cittadino, esplicitando la data precisa di avvio del procedimento amministrativo (dalla quale partono i 90 giorni) e indicare anche il responsabile del procedimento. Purtroppo, salve alcune lodevoli eccezioni, questo avviene molto di rado. Così come ancor più di rado avviene che un commissariato o una stazione carabinieri rilascino una ricevuta del materiale presentato (malgrado siano teoricamente tenuti a farlo, sempre per la normativa sulla trasparenza amministrativa). Insomma, nonostante a livello legislativo si siano predisposti da anni (ormai da oltre un quarto di secolo, la prima legge sulla trasparenza amministrativa è del 1990) strumenti legislativi per far sì che la pubblica amministrazione debba rendere conto del proprio operato al cittadino, nella realtà purtroppo il cittadino medesimo è ancora troppo “suddito”.
Ciò non vuol dire, però, che gli strumenti per far valere i propri diritti non esistano. Innanzi tutto, è possibile chiedere alla propria stazione carabinieri quando siano effettivamente stati trasmessi i documenti alla questura e, secondariamente, recarsi in questura per chiedere di conoscere lo stato della pratica e, soprattutto, di conoscere la data ufficiale di avvio del procedimento amministrativo e il responsabile del procedimento. Occorre anche ricordare che nella remota eventualità in cui vengano dichiarati motivi ostativi al rilascio, tali motivi dovranno essere notificati per iscritto e con idonea motivazione e su tale provvedimento è possibile fare ricorso al Tar. Premesso che il possesso di una licenza che consente il trasporto è condizione necessaria, trasportare un’arma significa averla con sé chiusa in un contenitore e scarica, in condizioni tali che sarebbe impossibile usarla per aggredire o per difendersi in tempi ragionevoli.
Per le armi da caccia vige una regola analoga per cui nei luoghi e tempi in cui non si può cacciare, l’arma può essere solo trasportata entro un involucro e scarica. Anche in questo caso è sufficiente che chi ha l’arma non sia in grado di tirarla fuori e sparare prima che il selvatico se ne sia andato (ovviamente la regola non vale quando si ha un cane che regge una lunga ferma). Quindi è possibile trasportare la pistola con sé da casa al poligono, da casa all’ufficio, dal poligono all’ufficio senza problemi. Durante il trasporto e nel luogo ove l’arma viene temporaneamente lasciata, occorre assicurare una corretta custodia. È consentito anche lasciare l’arma in ufficio, se esso è idoneo alla custodia, ma non oltre 72 ore consecutive. Oltre tale termine si deve denunziare lo spostamento dell’arma.
Il 5 novembre 2015 è entrato in vigore il decreto 29 settembre 2013, n. 121, correttivo del decreto 204/2010. Ovviamente, la questione più spinosa è quella relativa al limite imposto ai colpi dei caricatori (5 per le armi lunghe di tutti i tipi NON sportive e 15 per le pistole NON sportive) e, soprattutto, quando e a chi tale limite si applichi. Per sgombrare il campo dalle interpretazioni più disparate, la redazione di Armi e Tiro e Antonio Bana, presidente di Assoarmieri, hanno messo a punto il seguente schema applicativo, risultante dall'analisi giuridica del testo del decreto:
Privati: per chi già detiene armi lunghe con più di 5 colpi e pistole con più di 15 colpi, nulla cambia e non è necessario eseguire alcun intervento sulle armi. SOLO ed esclusivamente nel caso in cui un'arma con capacità superiore al limite, dovesse essere venduta a terzi in un momento successivo al 5 novembre 2015 (cioè oltre due anni dopo l'entrata in vigore del decreto), il privato prima di venderla dovrà modificarla per rientrare nel limite.
Armerie: le armerie continueranno a vendere le armi che già avevano in negozio all'entrata in vigore del decreto, con la capacità originale dei caricatori, senza alcun obbligo di modifica. SOLO le armi ricevute in negozio dal 5 novembre 2013 in poi, prodotte o autorizzate all'importazione DOPO l'entrata in vigore del decreto, dovranno avere la capacità del caricatore già conforme ai limiti. Le armi che arrivate in negozio DOPO il 5 novembre, ma che sono state prodotte o importate PRIMA dell'entrata in vigore del decreto, potranno avere ancora la capacità originale dei caricatori. Dopo il 5 novembre 2015 (quindi dopo due anni dall'entrata in vigore), ANCHE le armi che già erano presenti in negozio all'atto dell'entrata in vigore del decreto, che non siano state ancora vendute, dovranno essere modificate per rispettare il limite, a prescindere dalla data di produzione o importazione.
Produttori: le armi già prodotte e sottoposte al Banco nazionale di prova PRIMA dell'entrata in vigore del decreto (5 novembre 2013) ma rimaste invendute, dopo il 5 novembre 2015 devono essere modificate per rispettare il limite. Le armi prodotte e/o bancate DOPO l'entrata in vigore del decreto, devono essere già conformi al limite.
Distributori: le armi già importate o per le quali sia già stata autorizzata l'importazione PRIMA dell'entrata in vigore del decreto (5 novembre 2013) ma rimaste invendute, dopo il 5 novembre 2015 devono essere modificate per rispettare il limite. Le armi per le quali viene concessa la licenza di importazione DOPO l'entrata in vigore del decreto, devono essere conformi al limite.
Il ministero dell’Interno, pressato dai suoi stessi dipendenti, ha dovuto ammettere che un poliziotto che porta armi in base agli accertamenti del suo ufficio, deve ritenersi idoneo a ciò, senza che occorra un nuovo accertamento da parte di un medico della Asl.Ha dovuto quindi ammettere che per un appartenente alla ps ha pieno valore il certificato rilasciato dal medico militare della ps. Trattasi di un principio talmente logico e di buon senso che solo i ministeriali potevano negare e infatti hanno continuato a negarlo per chi non appartiene alla ps!
Si è posto infatti il problema se la regola stabilita per la ps valesse anche per gli appartenenti alla forze armate e in molti uffici hanno subito risposto di no.
A me pare chiaro che qualunque medico militare che opera in una caserma o in un ospedale miliare è autorizzato a rilasciare questo tipo di certificato. Più o meno: chi può visitare un militare può anche fargli il certificato di idoneità psicofisica! È altrettanto chiaro che gli attestati di servizio sono altrettanto validi: se lo sono per la polizia è evidentissimo che lo sono per ogni appartenente a una forza armata. Chi nega ciò può essere solo ignorante o in mala fede. È ora di prendere atto, traendone le dovute conseguenze, che siamo caduti in mano a un’ottusa burocrazia, ignorante e prepotente, che non sa che cosa vuol dire servire lo Stato e il cittadino. Il comodato delle armi da fuoco è regolato dall’articolo 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110, che dispone un generale divieto per le armi comuni da sparo, prevedendo però per il semplice cittadino una deroga per le armi per uso scenico o per le “armi destinate ad uso sportivo o di caccia”.
Detto questo, la norma nulla prescrive sulla forma mediante la quale realizzare il suddetto comodato di armi, dal che si deve ritenere di dover ricavare un modus operandi dalle altre leggi che regolano la materia.
Di sicuro possiamo dire, in base all’articolo 38 del Tulps, che se il comodato supera la durata delle 72 ore, il comodatario deve denunciare l’arma all’autorità di ps, perché l’articolo 38 Tulps, così come modificato dal decreto legislativo 204, prescrive l’obbligo di denuncia entro le 72 ore dall’acquisizione della “materiale disponibilità” dell’arma. Si deduce da ciò, quindi, che l’obbligo di denuncia scaturisce dal possesso fisico dell’arma, a prescindere da quale sia il negozio giuridico che l’ha portata nella disponibilità del cittadino: acquisto, donazione, comodato eccetera. E in tal caso, abbastanza logicamente, dovrà avere forma scritta.
Se, però, il comodato si esaurisce entro le 72 ore, è altrettanto evidente, per lo stesso motivo, che non sorge alcun obbligo di aggiornare la denuncia, né per il comodante, né per il comodatario.
Per quanto riguarda la forma del comodato, il diritto civile ci dice che è un contratto a forma libera, quindi si perfeziona anche semplicemente tramite accordo orale (secondo una parte della dottrina, il comodato sarebbe un diritto reale, quindi per perfezionarsi perfezionarsi necessita comunque della consegna del bene, ma non complichiamo le cose ancora di più…).
In pratica, se una persona ha dato il suo consenso a che suo padre possa utilizzare l’indomani a caccia un determinato fucile, e poi la sera stessa, al ritorno, il padre lo rimetterà tra le armi al suo posto, a nostro avviso non c’è una norma di legge che obblighi le parti alla forma scritta e, nell’eventuale caso di contestazioni, dovrà eventualmente essere l’autorità di ps a dimostrare che il comodato si stia protraendo da più di 72 ore.
Questo, in un mondo perfetto. Nel mondo reale, purtroppo, occorre anche evitare, quando possibile, di mettersi nella condizione di provocare crisi di panico a taluni funzionari di ps, che quando non vedono un pezzo di carta (magari bollata, sarebbe meglio) cominciano a farsi brutte idee, le quali brutte idee, inevitabilmente, costano soldi e patemi d’animo al malcapitato cittadino. Quindi, lasciando perdere le belle teorie da legulei, nell'esempio in questione possiamo consigliare molto prosaicamente di lasciare al padre un paio di scritture private, senza data, nelle quali la persona dichiara di cedere in comodato a suo padre un determinato fucile da caccia (può essere utile compilare un paio di queste dichiarazioni per ciascuno dei fucili che si vorrebbe prestare).
Quando il padre volesse andare a caccia con uno di questi fucili, prenderà con sé una delle dichiarazioni (firmate da entrambi), apporrà la data e si avvierà verso il terreno di caccia. Di ritorno, straccerà e getterà la dichiarazione “usata”. Qualora, magari una settimana più tardi, volesse tornare a caccia con lo stesso fucile, prenderà la seconda copia della scrittura privata preparata, apporrà la data e procederà come sopra. Agendo in tal modo, a nostro avviso ci si tutela anche nei confronti della guardia volontaria venatoria più talebana e si evitano crisi isteriche a (certi) funzionari di ps. L'istituto della riabilitazione, previsto dall'art. 178 del codice penale, consiste in una procedura che consente a chi sia stato condannato con sentenza passata in giudicato o con decreto di condanna non opposto di chiedere e ottenere, se in possesso dei requisiti, la cancellazione dei reati dal casellario giudiziario, e, di conseguenza, l'estinzione degli stessi.
La riabilitazione permette alla persona che abbia subito una condanna, e che abbia manifestato segni di ravvedimento, di ottenere l'estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna stessa ed è annotata sul certificato penale a cura della cancelleria del giudice che l'ha emessa.
Per farla valere allo scopo di ottenere licemze in fatto di armi, in caso di diniego, si può proporre ricorso al presidente della Repubblica, che è deciso dal consiglio di Stato. E comunque ci vogliono almeno due anni per avere la decisione. Ormai serve solo in quei casi in cui si vuole fare a meno di un avvocato.
Il ricorso alla corte costituzionale va fatto attraverso il Tar; non vi sono altre vie, ma se l'avvocato fa presente che è interessato solo alla decisione sulla costituzionalità, i tempi possono essere abbreviati. Chiaramente l'avvocato deve motivare molto bene la sue eccezione di incostituzionalità, in modo che il Tar si possa limitare e ricopiare le sue argomentazioni. L'avvocato deve far presente che la Costituzione dice che la pena deve portare al recupero del reo il che implica che la pena non può avere conseguenze a vita. Ciò a maggior ragione in quanto è la stessa legge a stabilire che dopo alcuni anni dalla sospensione con condizionale della pena o dal patteggiamento il reato è estinto (non solo la pena, ma proprio in reato).
La riabilitazione è concessa dopo un lungo periodo di osservazione e dopo aver accertato che il soggetto si è comportato bene, il che dà maggiori garanzie che non il formale accertamento che è trascorso un certo numero di anni dalla condanna. Si può anche eccepire che la discrezionalità del prefetto o del questore non soggetta ad alcuna regola, non corrisponde al principio di legalità del nostro sistema giuridico. Tutto questo crea anche una disparità di trattamento non razionale. La licenza per detenere più di 200 cartucce per pistola va richiesta al prefetto e consente la possibilità di detenere ulteriori 1.500 cartucce per pistola (totale 1.700, quindi) senza dover effettuare adeguamenti specifici al luogo di detenzione (cioè l’abitazione).
Però, la circolare ministeriale 557/PAS.13772-10171(1) del 6 novembre 2007 ha ristretto la possibilità di richiedere la licenza prefettizia ai soli istruttori di tiro e agli agonisti che possano esibire “oltre all’attestazione rilasciata dalla Federazione sportiva di riferimento inerente il suo tesseramento quale tiratore agonista per l’anno in corso, anche idonea documentazione dalla quale si evinca che lo stesso ha partecipato effettivamente a competizioni di livello nazionale o internazionale nell’anno precedente”.
Altra limitazione “ministeriale”: anche chi è in possesso di licenza prefettizia per 1.500 cartucce, non può comunque trasportarne più di 600 per singola movimentazione. Quella del “tragitto più breve” è una delle leggende metropolitane che vengono fuori più spesso, anche perché nei tempi passati è effettivamente capitato che qualche questura o commissariato “imponesse” un certo percorso a un tiratore in possesso della cosiddetta “carta verde” per raggiungere il Tsn da casa sua. Per fortuna, al momento attuale non è previsto nulla del genere, né per i possessori di Porto d’armi (per Tiro a volo, caccia, difesa personale), né per i possessori di altro titolo, come per esempio la carta di riconoscimento per il trasporto delle armi (cosiddetta “carta verde”).
Anche perché in particolare il porto d’armi (di qualsiasi genere), consente il trasporto dell’arma ma non è detto che l’arma sia trasportata per andare al Tiro a segno. Può essere trasportata, per esempio, per farla valutare a un armiere, per farla riparare o per presentarla a un conoscente per vendergliela. Tra l’altro i sostenitori del “tragitto più breve” tralasciano di osservare che, se fosse vero che il possessore dell’arma ricadesse sotto tale obbligo, allora bisognerebbe anche che ci fosse un obbligo di iscrizione al Tsn più vicino, ma questo è in contrasto con diverse norme del nostro ordinamento, anche di rango costituzionale (pensiamo alla libertà di associazione, per esempio). Il decreto legislativo 204 del 2010 (art. 5) ha introdotto un limite di validità per quanto riguarda il congedo militare, che è sempre stato considerato equipollente al certificato di abilitazione al maneggio armi rilasciato dal Tsn.
Mentre, infatti, in precedenza anche chi avesse fatto la “naja” trent’anni prima, poteva chiedere il porto d’armi allegando la copia del congedo, adesso è previsto che il congedo militare possa sostituire il certificato del Tsn solo se rilasciato non più di 10 anni prima della domanda.
Detto questo, il decreto legislativo in questione non ha stabilito alcuna durata al certificato di idoneità del Tsn che, quindi, non ha scadenza.
Possiamo quindi confermare che il “Cima” rilasciato da un Tsn non ha scadenza e che può essere utilizzato anche mesi, se non anni dopo il suo rilascio, per la richiesta di un porto d’armi.
Eventuali eccezioni alla sua validità (che però dovranno essere motivate con precise disposizioni di legge) potranno, nel caso, essere avanzate dall’autorità di ps. L’articolo 20 della legge 110/75 prescrive che “La custodia delle armi di cui ai precedenti articoli 1 e 2 e degli esplosivi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”. E per l’appunto, nell’articolo 2 della legge 110/75 si specifica che sono armi comuni da sparo quelle “…ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe sia corte i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule”.
Quindi, le armi di modesta capacità offensiva ad aria o gas compressi, di potenza inferiore a 7,5 joule, non sono esplicitamente ricomprese nell’obbligo previsto dall’articolo 20 della legge 110/75.
Detto questo, il regolamento di attuazione contenuto nel decreto 9 agosto 2001, n.362, dispone che per la cessione di tali armi dopo l’acquisto in armeria, sia necessaria una scrittura privata tra le parti. Ne consegue, a nostro avviso, che in caso di furto o smarrimento si debba preferibilmente fare denuncia all’autorità di ps, sia eventualmente perché in caso di ritrovamento se ne possa ritornare in possesso, sia perché nel caso in cui tali armi venissero usate successivamente per commettere atti illeciti, si possa confermare la propria totale estraneità a tali atti dal momento successivo al furto e/o allo smarrimento. Riteniamo opportuno inoltre che un possessore di armi da fuoco (quindi denunciate) che sia in possesso anche di armi di modesta capacità offensiva, adotti per queste ultime le medesime precauzioni nella custodia che adotta per le armi da fuoco, ciò allo scopo di evitare nel modo più assoluto qualsiasi tipo di rischio che operatori di ps possano, in caso di controllo, rilevare carenze inesistenti che potrebbero portare a provvedimenti interdittivi. Il decreto legislativo 204/2010 ha introdotto nuove regole sulla validità degli attestati di capacità tecnica. L’articolo 8 della legge 110/1975, modificato dalla legge 36/1990 regola in via generale la “capacità tecnica” per alcune licenze in materia di armi: quella per i fabbricanti, quella per i riparatori quella per il commercio e il deposito, quella per il porto. Stabilisce che non occorre capacità tecnica per i collezionisti e nulla dice circa il certificato di idoneità al maneggio armi rilasciato dai Tsn. Nessuna norma di legge ha mai detto che chi chiede il nulla osta per l’acquisto di armi debba essere in possesso di tale certificato, ma esso viene preteso dagli uffici di ps e, sempre più spesso, dalle sezioni del Tsn (forse per cautela sulla qualità del tiratore).
Cercando di tradurre in modo comprensibile il nuovo testo della legge 110/1975, articolo 8, commi 3°, 6° e 8°, come modificati dal decreto legislativo 204, possiamo affermare che esso in sostanza conferma: che la capacità tecnica richiesta per la licenza di porto d’armi è provata dal certificato del Tsn e che rimane ferma la norma secondo cui chi ha già ottenuto in precedenza una licenza di porto d’armi o analoga, è considerato idoneo per tutta la vita.
Conferma nel comma 8 che chi è munito di capacità tecnica, e ha ottenuto un’autorizzazione di ps, la conserva per tutta vita.
Il 7 regola varie ipotesi:
a. Chi ha prestato servizio militare nei dieci anni precedenti alla richiesta di una licenza di porto d’arma non deve presentare il certificato maneggio armi e, dal momento che diviene titolare di una licenza, rimane idoneo per tutta la vita.
b. Regola la situazione di chi “esibisca” un certificato maneggio armi del Tsn; cioè la norma conferma che chi ha già avuto in passato un certificato di idoneità al maneggio armi non deve mai ripeterlo o rinnovarlo. Il verbo esibire viene usato a sproposito perché la nuova normativa generale sugli atti della pa stabilisce che il cittadino non deve mai certificare cose già a conoscenza della pubblica amministrazione; siccome il Tsn è un ente pubblico, è sufficiente che il cittadino autocertifichi di aver conseguito l’idoneità.
Attenzione: la limitazione temporale di dieci anni per chi abbia prestato servizio armato non può essere riferita, a chi esibisca il certificato; la frase fisse regole per chi in passato ha prestato il servizio armato e, dopo, regola la situazione di chi ha già il certificato del Tsn. Il servizio militare non comporta il possesso della capacità tecnica per il conseguimento di licenze professionali per fabbricazione, commercio e riparazione di armi.
d. Chi ha fatto il servizio militare e, poi, per dieci anni non ha richiesto una licenza di porto d’armi o non ha richiesto di acquistare armi, deve conseguire il certificato del Tsn, che resterà valido per tutta la vita.
Ripeto che la legge non prevede questo certificato per l’acquisto di armi e per collezionare armi, ma se gli uffici di ps lo richiedono, allora vuol dire che anche il nulla osta all’acquisto è una di quelle autorizzazioni che fanno superare il limite dei dieci anni. Rispetto ai tempi del Catalogo nazionale non è cambiato assolutamente niente. Un esempio pratico: il revolver Smith & Wesson modello 28 Highway patrolman calibro .357 magnum, con canna di 6 pollici, fu catalogato al numero 348, nel 1979. La qualifica di arma sportiva fu riconosciuta 10 anni dopo, nel 1989 (anche perché prima del 1986 non esisteva proprio il concetto legale di arma sportiva, istituito con legge n. 85). Quindi è evidente che, in 10 anni, possono essere state vendute decine, centinaia di armi di quel modello, che sono state ovviamente denunciate come armi comuni da sparo. E che, tuttora, possono essere ancora in denuncia come armi comuni da sparo, perché il proprietario non si è avveduto dell’avvenuta classificazione.
Che cosa succede, nella pratica? Niente! Nessun ufficio di ps si mette a fare il controllo incrociato con le armi, per “monitorare” se siano tuttora comuni o se siano sportive. Tuttavia, con il riconoscimento della qualifica di arma sportiva, “tutti” gli Smith & Wesson modello 28 con canna di 6 pollici presenti in Italia sono diventati sportivi. Quindi è chiaro che, nel caso di un passaggio di proprietà, diventa difficile far finta di niente (anche se può succedere).
Con le classificazioni del Banco, non c’è differenza: il Bnp procede innanzi tutto alla classificazione dell’arma come comune da sparo e successivamente pubblica i sotto-codici delle versioni sportive del modello “di base”.
In parole povere: l’acquirente, a nostro avviso, non è tenuto a tenere d’occhio il Banco di prova da qui a cinquant’anni, guardando tutte le settimane se la sua arma è rimasta comune o a qualcuno è venuto in mente di dichiararla sportiva. Quindi, può benissimo capitare che un’arma acquistata a suo tempo come comune, sia diventata sportiva all’insaputa del proprietario. È chiaro che, in tal caso, se il proprietario diventa consapevole di quanto è accaduto, in teoria dovrebbe procedere autonomamente alla variazione sulla denuncia. Potrebbe, però, semplicemente non saperlo e continuare a tenerla tra le armi comuni o le armi da caccia.
Eventualmente, potrebbe venir fuori la questione all’atto di un eventuale cambio di proprietà, ma in tal caso sarà cura del nuovo acquirente sapere come è qualificata l’arma che sta acquistando.
Il libretto di porto di fucile per uso Tiro a volo o caccia ha validità di 6 anni a partire dalla data del rilascio riportata sullo stesso. A entrambi i libretti è allegata la licenza che, nel caso di porto di fucile per uso Tiro a volo ha la stessa durata del libretto e non comporta il versamento di tasse. La licenza di caccia, invece, nel periodo di validità viene rinnovata automaticamente con il pagamento della tassa di concessione governativa, che deve essere versata prima dell’uso dell’arma (porto, trasporto e qualsiasi acquisto, anche di munizioni) per ciascun anno successivo a quello di emanazione della licenza. Il libretto di porto di pistola per difesa personale ha validità di cinque anni, mentre la licenza ha durata annuale. La domanda di rinnovo deve essere presentata prima della scadenza del titolo. La legge quadro sui parchi naturali nazionali (art. 8 e segg. L. 6 dicembre 1991, n. 394), anteriore alla legge quadro sulla caccia, contiene alcuni divieti particolari e norme sulla vigilanza all’interno dei parchi. È bene ricordare che ulteriori regole possono essere contenute nello Statuto del Parco. Questi divieti e regole non si applicano alle altre aree naturali e ai parchi terrestri regionali o locali.
I divieti particolari che direttamente possono riguardare i cacciatori o chi porta armi sono:
– la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l'equilibrio naturale;
– l'introduzione e l'impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;
– l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
– l'uso di fuochi all'aperto.
L’introduzione di armi, può avvenire dietro autorizzazione del presidente del Parco o altro soggetto indicato nel suo Statuto.
Il punto più critico è quello relativo alla introduzione di armi ed esplosivi, anche solo per ragioni di transito o trasporto all’interno del parco. La criticità è dovuta al fatto che i parchi sono attraversati da strade pubbliche, che per una assurda interpretazione della Cassazione i confini dei parchi non sono tabellati, che il divieto riguarda anche i non cacciatori, i quali possono proprio ignorare l’esistenza dei parchi naturali.
La norma vieta l’introduzione di armi, quindi per la legge penale rientrano in tale nozione le armi bianche, le armi da sparo, gli strumenti atti ad offendere per cui sarebbe vietato introdurre anche sciabole, archi, balestre, fionde. Con un po’ di interpretazione, la nozione di arma dovrebbe essere ricollegata al resto della frase in cui si precisa che certi oggetti sono vietati in quanto mezzi distruttivi e di cattura. Quindi armi da sparo lunghe o corte e quelle che la legge prevede come mezzi di caccia, quali l’arco e la balestra. Di esse ne è vietata l’introduzione anche da parte di chi sia munito di licenza di porto d’armi.
È vietata l’introduzione di esplosivi, ma non di munizioni, che la legge sempre distingue da essi. Non è vietata l’introduzione di artifici pirotecnici.
La nozione di introduzione andrebbe precisata. È evidente, ad esempio:
– che se una strada statale attraversa un parco nazionale (ad es. quella dello Stelvio) non potrà di certo essere vietato il passaggio di un camion che trasporta armi;
– che se attraverso il parco passa un’autostrada, non si possono far tornare indietro tutte le auto su ci si trova un’arma;
– che se nel territorio del parco vi è un campo o poligono di tiro occorre trovare il modo di poterlo utilizzare. Il ministero dell’Interno ha emanato una circolare con la quale si propone di fare chiarezza sull’iniziativa che da molti anni alcune questure e prefetture hanno adottato, consistente nell’annotare sulle licenze di porto d’armi consegnate ai cittadini il quantitativo massimo di munizioni che è possibile acquistare nell’arco di validità della licenza.
Il ministero correttamente ricorda che la possibilità di introdurre tale limite è stata conferita a questori e prefetti dalla legge cosiddetta “antimafia” n. 306 del 1992, ma che l’effettivo esercizio di tale facoltà era subordinato all’emanazione di un decreto attuativo, mai emanato. “A parere di questo ufficio”, si legge, “pertanto, non può trovare applicazione la limitazione in questione, in quanto essa si fonda su un decreto, allo stato, inesistente”.
Tutto a posto, quindi? No. Perché, infatti, la chiosa del ministero, che consente di salvare l’operato finora perpetrato da questure e prefetture, è che “Ciò non toglie che, in presenza di effettive turbative all’ordine e alla sicurezza pubblica determinate dall’eccessiva circolazione di munizioni nella provincia, codesta autorità di ps potrà sempre intervenire agendo ai sensi dell’art. 9 del Tulps, apponendo alle licenze di polizia rilasciate – nella modalità più opportuna – le prescrizioni che riterrà più idonee, dandone motivazione nel provvedimento”. Come dire: cambiare tutto per non cambiare nulla. Con il Porto di fucile per uso Tiro a volo di cui alla legge 323/69 si possono trasportare tutte le armi comuni da sparo, quindi fucili a canna liscia, pistole e carabine. La lettera B) della circolare del ministro dell’Interno n° 559/c.3159-10100 del 14 febbraio 1998 dispone che “I titolari di licenza di porto d'armi lunghe da fuoco con canna ed anima liscia di cui alla legge 323/69 (tiro a volo), possono: portare il tipo d'arma oggetto dell'autorizzazione, trasportare e acquisire tutte le armi comuni da sparo”.
Trasportare un’arma, secondo la stessa circolare, significa trasferirla da un luogo a un altro come oggetto inerte e non suscettibile d'uso, in assenza quindi della pronta disponibilità che caratterizza il porto. Per esempio, chiusa in un contenitore e scarica, da casa al poligono, da casa all’ufficio, dal poligono all’ufficio. Possono ottenere, a domanda, la licenza gratuita per il Porto di arma corta gli ufficiali delle forze armate in servizio permanente effettivo (spe). La licenza, in questo caso, non è lasciata alla discrezione del prefetto. Quando l’ufficiale ne fa domanda e allega la prova di essere in servizio permanente effettivo, ha diritto di avere la licenza, salvo che ostino specifici e gravi motivi che devono essere specificamente indicati nel provvedimento di rigetto. Il fatto che l’articolo 75 usi l’espressione “può essere rilasciata” non indica una discrezionalità del prefetto, ma solo che il rilascio non è automatico, ma subordinato alla richiesta dell’interessato. Il ministero dell’Interno, però, ha contestato questo diritto affermando che questa agevolazione, riportata dal quinto comma delle note marginali all’articolo 47 della tabella allegata al Testo unico 1° marzo 1961, n° 121, sia stata abrogata implicitamente per il fatto che essa è poi scomparsa nella tabella allegata al successivo dpr 26 ottobre 1972, n° 641. L’argomentazione non è affatto convincente perché la volontà del legislatore non è per nulla chiara. A ogni modo rimane pur sempre fermo che gli ufficiali delle forze armate hanno diritto ad avere la licenza di Porto di pistola senza dover provare il bisogno di difendersi. Allo stato bisogna litigare un po’ per riuscire a convincere i funzionari che l’ufficiale ha diritto alla licenza gratuita. Una regola fondamentale, affermata già dalla rivoluzione francese, dice che quando uno è in casa e chiude la porta a chiave, ha diritto di fare tutto ciò che vuole! Ogni arma non ha altra funzione che quella di essere usata per caccia o tiro oppure per difendersi. Dovrebbe essere ovvio a tutti che è un po’ difficile difendersi con un’arma scarica! Chi detiene un’arma carica in casa deve solo stare attento che non vi siano minori o incapaci di mente in circolazione, che possano provocare incidenti.