Non si placano le polemiche dopo il servizio di Fabrizio Gatti pubblicato su L'Espresso e, per buona misura, il giornalista sul suo blog pubblica ulteriori corbellerie e crasse inesattezze, in risposta alla lettera di critiche inviatagli dal presidente di Anpam Nicola Perrotti. Nella risposta di Gatti, si legge tra l'altro che L’abrogazione del “Catalogo nazionale delle armi come conseguenza ha cancellato l’introduzione del Sistema della polizia amministrativa e sociale per la cooperazione esterna in materia di armi ed esplodenti (Space), finanziato dall’Unione Europea, che tra l’altro avrebbe consentito la tracciabilità arma/proprietario di tutti i pezzi in circolazione in Italia. Come ancora spiega il sito del ministero dell’Interno: “Con l’utilizzo del sistema SPACE le Autorità di pubblica sicurezza… potranno visualizzare, in tempo reale, il quadro completo di tutta la movimentazione delle armi e degli esplodenti, con notevoli vantaggi per la sicurezza sul territorio di competenza". Ancora una volta, Gatti dimostra di non essersi minimamente preoccupato di verificare le proprie fonti. Vediamo se si può fargli un riassuntino:
1. Il sistema Space era stato messo in piedi dall'ufficio armi del ministero dell'Interno, utilizzando fondi che erano nominalmente destinati allo sviluppo del Mezzogiorno. Il sistema, però, non è mai entrato in funzione e, nel momento in cui è stato abolito il catalogo nazionale, era già morto e sepolto da alcuni anni.
2. Il catalogo nazionale non ha mai avuto alcuna rilevanza in merito alla possibilità di tracciare le armi in possesso dei cittadini. A tale scopo, decenni prima di Space era già previsto un sistema informatizzato di tracciatura (Sdi), che sarebbe stato molto meglio potenziare e modernizzare, anziché perdere tempo e soldi con un sistema assolutamente inutile, ennesima incompiuta italiana.
3. Non si capisce come un numero di catalogo, che identificava un modello di arma e non certamente un esemplare, potesse in qualche modo aiutare a tracciare il numero di armi effettivamente circolante in Italia, e le relative transazioni da commerciante a privato e tra privati. Prova ne sia, che nessun altro Paese europeo ha mai ritenuto di adottare un sistema anche solo simile al catalogo nazionale. Solo il ministero dell'Interno italiano ha avuto il coraggio di sostenere una simile tesi, senza peraltro preoccuparsi di motivarla con elementi concreti e razionali.
4. Il catalogo nazionale era la risposta della burocrazia italiana a un problema contingente degli "anni di piombo". Problema che è stato, purtroppo, risolto "all'italiana", nel senso che invece di fare una legge che stabilisse chiaramente quali tipi di armi erano vietate, si è preferito mettere in piedi una commissione-carrozzone che stabilisse, di volta in volta e secondo criteri molto spesso soggettivi (quando non direttamente assurdi), quali modelli erano consentiti. È come se l'articolo 21 della costituzione italiana, invece di stabilire quali pubblicazioni sono vietate (quelle contrarie al buon costume), facesse un elenco interminabile di quelle che sono consentite! Ovviamente se si parla di libertà di stampa la cosa è comprensibile, se si parla di armi, invece no…
Con il più profondo sprezzo del ridicolo, Gatti conclude affermando che "È così cessato anche qualunque controllo che impedisca, a partire dalla sua progettazione, la trasformabilità dell’arma comune in arma da guerra. Vengono invece commercializzati come armi sportive o da caccia fucili di precisione in grado di sparare a più di due chilometri. Le procedure di infrazione dell’Europa si possono fronteggiare con successo, come è sempre avvenuto fino al 2009. L’opinione della Commissione europea sull’Italia in tema di armi non sembra essere quella riportata dall’Associazione nazionale dei produttori. Come dimostra il duro intervento il 21 ottobre scorso della commissaria europea per gli Affari interni, Cecilia Malmström, che chiama in causa anche l’Italia". Peccato che anche in vigenza del Catalogo nazionale circolavano "fucili di precisione in grado di sparare a più di due chilometri" (questa fa il paio, quanto a qualunquismo, con il "vero e proprio arsenale"…), mentre per quanto riguarda la Malmström, invece, si sarebbe potuto scoprire, con 10 minuti di navigazione su Internet, che la posizione della commissaria europea è di tipo pregiudiziale, e smentisce i risultati di un'indagine demoscopica realizzata dalla stessa Ue, nella quale si è evidenziato che non sussiste alcuna necessità di un inasprimento delle norme regolanti il commercio e il possesso di armi civili.
In conclusione: la nostra non è né una legge più restrittiva, né più permissiva degli altri Paesi europei: il catalogo nazionale era una mostruosità tipicamente italiana, inutile e dispendiosa e adesso che non c'è più, i delitti commessi con armi legittimamente detenute non hanno subito alcuna variazione al rialzo (semmai è vero il contrario). Forse, il collega Gatti dovrebbe preoccuparsi di documentarsi un minimo, anziché inseguire con arroganza tesi precostituite.