Il Tar cambia la decisione della Prefettura e concede il possesso di una pistola al ricorrente. È questo l’esito finale di una vicenda che affonda le proprie radici nel lontano 1996 e nella quale, in questi ultimi anni, alle conseguenze di un fatto di cronaca si è aggiunta una battaglia legale. Protagonista è un imprenditore di Limbiate (Mi) che ormai 18 anni fa suo malgrado si trovò coinvolto in un evento delittuoso. L’uomo riuscì a evitare l’omicidio della persona che viaggiava con lui in auto e per evitare ritorsioni, vista anche la sua attività professionale, le forze dell’ordine gli consigliarono di prendere il porto d’armi e di tenere con sé una pistola. L’imprenditore ascolta il suggerimento ma nel 2011, quando presenta richiesta di rinnovo del permesso di viaggiare armato, la Prefettura prima richiede informazioni in merito al volume dei suoi affari, giudicandolo di scarsa entità, poi avvia le procedure per il mancato rinnovo del porto d’armi “in ragione della non confermata pericolosità del territorio di residenza”. Il limbiatese però non ci sta e così nel 2012 ricorre al Tar, che dopo quasi due anni gli dà ragione. “Il diniego del rinnovo del porto di pistola – recita la sentenza pubblicata nei giorni scorsi – sarebbe immotivato, visto che sia le condizioni ambientali e che le stesse condizioni personali ed economiche del ricorrente non sarebbero mutate rispetto al passato, quando il rinnovo era stato costantemente concesso”. Tra le motivazioni dell’accoglimento del ricorso dell’imprenditore, il Tar cita anche la mancata considerazione della “peculiare posizione del predetto ricorrente, vittima in prima persona di un tentativo di estorsione e insediato, con la propria attività, in una zona a elevata densità criminale, come attestato anche dai recenti interventi della magistratura penale”.