Comincia ad assumere contorni paradossali la vicenda del ghanese ferito dalla 9 mm di un poliziotto in Stazione Termini: l’accusa di tentato omicidio per l’irregolare è già caduta, intanto l’agente è sotto inchiesta per eccesso colposo di uso legittimo di armi e… dovrà pagarsi le spese processuali!
In sede di convalida dell’arresto, infatti, a quanto pare il Gip ha riconosciuto al fermato (e ferito) la resistenza all’arresto e il porto abusivo di strumento atto a offendere (il coltello brandito in pieno centro città), ma non la fattispecie del tentato omicidio.
Uno degli aspetti più grotteschi è che il ghanese, irregolare nel nostro Paese, già noto alle forze dell’ordine per una cospicua serie di precedenti, essendo nullatenente avrà comunque (come è previsto e doveroso) diritto al gratuito patrocinio per la difesa in sede processuale (in altre parole, il suo avvocato sarà pagato dai cittadini italiani); il poliziotto che è intervenuto per fermare le sue escandescenze, che è attualmente indagato per eccesso colposo di legittima difesa, l’avvocato dovrà pagarselo di tasca propria, anche se secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, il titolare dell’emittente radiotelevisiva Nsl radio si è offerto di fornire all’agente i propri avvocati e di sostenere le relative spese.
Si impone una riflessione
È abbastanza evidente che, nel momento in cui un appartenente alle forze dell’ordine fa uso dell’arma o, comunque, nel momento in cui in conseguenza delle azioni compiute durante il servizio si verificano decessi o ferimenti, debba essere un organismo terzo e indipendente (cioè l’autorità giudiziaria) a determinare se le sue azioni fossero congrue oppure si sia al cospetto di un abuso. Tutto ciò premesso, alla fine anche nel momento in cui si riconoscesse (come auspichiamo) che la condotta dell’agente fosse del tutto conforme a quanto la situazione di rischio suggeriva, sta di fatto che sarà quest’ultimo a doversi pagare avvocati, eventuali consulenti tecnici di parte e via discorrendo, con un importante danno economico personale. Danno che può senz’altro essere in tutto o in parte mitigato dall’aver stipulato una assicurazione di tutela legale, cosa che molti agenti impegnati sul territorio, oggi come oggi fanno (pagando, anche in tal caso, di tasca propria i premi, facendoli uscire da uno stipendio che non può certo definirsi principesco). In teoria sarebbe previsto il rimborso delle spese nel momento in cui si verificasse un proscioglimento per fatti avvenuti durante l’attività di servizio, ma questa previsione, di fatto, resta un miraggio.
Perché allora non ipotizzare, come già si è fatto nell’ambito della legittima difesa (legge 36 del 2019), che i costi per gli onorari di avvocato, ausiliare del magistrato ed eventuale consulente tecnico di parte, siano a carico dello Stato nel momento in cui si ottiene il non luogo a procedere o il proscioglimento di un appartenente alle forze dell’ordine per il caso di uso legittimo delle armi (articolo 53 del codice penale) e delle altre fattispecie connesse? Perché non è possibile fornire agli operatori che si trovano a tutelare la collettività sul territorio, uno strumento che consenta loro di essere tutelati dal punto di vista (anche) economico, nel momento in cui si dimostra che hanno agito nel limite ed entro i confini della legge? Attualmente la possibilità di far liquidare dallo Stato le spese è prevista solo per la legittima difesa (secondo, terzo, quarto comma dell’articolo 52) e per la fattispecie prevista dal secondo comma dell’articolo 55 del codice penale (il famoso stato di “grave turbamento”). Basterebbe modificare la legge aggiungendo anche l’articolo 53 del codice penale.