Con sentenza n. 33324 dell’11 febbraio 2021 (pubblicata il 9 settembre), la prima sezione penale della Cassazione è tornata a occuparsi degli strumenti atti a offendere e, in particolare, quelli per così dire “generici”, cioè quelli che l’articolo 4 della legge 110/75 qualifica come “non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”.
Nello specifico, il tribunale di Brescia ha condannato l’imputato per il porto al di fuori della propria abitazione di un bastone di legno lungo circa 90 cm e del peso di grammi 572, qualificato in giudizio come “manico di zappa”, rinvenuto nel bagagliaio dell’automobile dell’imputato, sottoposta a controllo lungo la pubblica via. È stata quindi inoltrata segnalazione all’autorità giudiziaria per porto ingiustificato di strumento atto a offendere, al quale è conseguita condanna in primo grado, ritenendo sussistente la lieve entità del fatto, alla sola ammenda che, con l’applicazione delle attenuanti generiche, è stata quantificata in euro 800.
Contro la sentenza è stato proposto ricorso in Cassazione, con la motivazione che “Si evidenzia che l’oggetto portato al di fuori della abitazione è un bastone in legno e che la punibilità è in tal caso correlata ad un giudizio di idoneità del medesimo, per condizioni di tempo e luogo, a recare offesa alla persona. Nessuna idoneità in concreto poteva dirsi sussistente”. Il ricorrente ha anche osservato che “Il controllo è avvenuto in ora pomeridiana, in prossimità del luogo di lavoro dell’imputato e il bastone era chiuso nel baule della vettura. Si tratta di circostanze di fatto che escludono la destinazione prevista dalla norma incriminatrice. Si evidenzia inoltre che nella immediatezza del fatto l’imputato aveva affermato che il bastone veniva utilizzato per fini lavorativi, per evitare la chiusura di una porta del capannone. Tale dichiarazione non sarebbe stata verbalizzata dagli operanti”.
La Cassazione ha accolto il ricorso, dichiarando che “La previsione di legge di cui all’art.4 legge n.110 del 1975, quanto agli oggetti assimilabili alle armi improprie, richiede non soltanto la constatazione di “assenza di giustificato motivo del porto” ma anche l’ulteriore apprezzamento delle circostanze di fatto in punto di destinazione dell’oggetto: gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell’art. 4, comma secondo, della I. n. 110 del 1975 sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga “senza giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della citata disposizione occorre anche che essi appaiano “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona” (ex multis, Sez. I n.10279 del 29.10.2011, dep.2012, rv 252223). L’oggetto in questione è un comune bastone in legno (definito un manico di zappa dai verbalizzanti) e pertanto la punibilità del porto è correlata ad un esame in concreto di “circostanze di tempo e di luogo” tali da integrare la dimostrazione di un finalismo lesivo (verso la persona) della condotta di porto. Circa tale aspetto la decisione impugnata risulta apodittica e non considera una serie di elementi di fatto che depongono marcatamente per l’assenza di visibili indicatori di tale finalismo. L’oggetto era custodito non all’interno dell’abitacolo, il controllo è avvenuto in pieno giorno e non lontano dal luogo di lavoro dell’imputato, in condizioni di fatto che non evidenziano alcun pericolo per la incolumità di altri soggetti. Al di là della prospettata destinazione ad esigenze di utilità pratica correlate all’attività lavorativa effettivamente svolta, non vi sono pertanto margini utili ad una rivalutazione di tale profilo. La decisione impugnata va pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste”.