La violenza animalista, troppo spesso subita dai cacciatori, non è necessariamente destinata a rimanere impunita. Adire alle vie legali è l’unica soluzione per rispondere a tali aggressioni, la sola veramente efficace per vedere riconosciuto il proprio diritto di esercitare l’attività venatoria. A dimostrarlo è una sentenza del 29 ottobre emessa dal tribunale di Vercelli, riferita ai fatti accaduti 5 anni fa a Lenta (Vc), quando un gruppo di attivisti animalisti ha interrotto una battuta di caccia al cinghiale che si stava regolarmente svolgendo all’interno di un’azienda faunistica venatoria. Undici degli attivisti, accusati di aggressione, lesioni, violenza privata e minacce, sono stati condannati a pene di reclusione comprese tra i 6 e gli 8 mesi, oltre al risarcimento del danno economico a favore delle parti civili, da quantificare in opportuna sede successivamente. Tre i condannati c’è anche il noto animalista Valerio Vassallo (in foto), attivista e presidente del Meta, il quale si è difeso dichiarando di essere estraneo ai fatti e ha annunciato che farà sicuramente ricorso in appello.
A rendere noto il provvedimento del tribunale con una nota è stata Federcaccia Piemonte, che ha commentato la sentenza constatando che «è evidente che giuridicamente e penalmente chi pratica l’attività in qualsiasi sua manifestazione ha tutele e diritti e i “mezzi” che possono contrastare in maniera efficace espressioni minacciose e condotte violente, come doveroso e dovuto in ogni ambito sociale».