All’indomani delle elezioni parziali per la camera alta giapponese, che hanno portato il partito liberaldemocratico del primo ministro Fumio Kishida di avere (in coalizione con altri due partiti) una maggioranza di due terzi in entrambe le camere del Parlamento, potrebbe verificarsi una svolta epocale per il Paese orientale: si parla di attuare quella riforma costituzionale voluta dall’ex premier Shinzo Abe (recentemente ucciso in un attentato), volta a modificare l’articolo 9 della Costituzione. Si tratta dell’articolo che impedisce, di fatto, al Giappone di avere una “vera” forza armata, a favore di quella che è definita una semplice “forza di autodifesa”.
Considerando le criticità strategiche presenti nell’area, rappresentate dal rafforzamento militare cinese e dalla costante minaccia dei programmi missilistici nord coreani, la volontà di Kishida (che segue peraltro la linea tracciata da Abe) sarebbe quella di rafforzare in modo sostanziale il settore della Difesa, raddoppiando la spesa militare in 5 anni e portandola dall’1 al 2 per cento del Pil.
Resta tuttavia una incognita tutt’altro che secondaria, perché questo progetto si realizzi: la riforma costituzionale dovrà passare attraverso il vaglio di un referendum e il popolo giapponese, nel corso degli anni, ha manifestato in effetti un gradimento piuttosto ampio nei confronti della costituzione “disarmata” imposta dagli americani nell’immediato dopoguerra, perché per molti è ritenuta la chiave che ha consentito al Paese di concentrarsi sullo sviluppo economico, diventando una vera potenza mondiale in termini di tecnologia e produzione.