I social network sono, per molti, una valvola di sfogo dallo stress quotidiano e può anche capitare che a essi si affidino messaggi anche di tipo estremo, o sibillino. Quello su cui magari non si fa conto è che questi messaggi non restano confinati alla dimensione eterea di Internet, ma concretizzano i propri risvolti anche su un piano assolutamente reale. È il caso di un carabiniere in congedo, che si è visto comminare un provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni, in seguito alla pubblicazione sul proprio profilo Facebook di una frase riconducibile a intenti suicidi. Il cittadino ha fatto ricorso al Tar della Liguria, chiedendo l’annullamento del provvedimento, argomentando che “si sarebbe trattato di un mero sfogo privo di propositi suicidi, male interpretato, dovuto ai contrasti in seno alla famiglia venutisi a creare a seguito dell’avvio di una nuova relazione sentimentale”.
I giudici del Tribunale amministrativo hanno tuttavia ritenuto di respingere il ricorso, argomentando che “non appare illogica o palesemente errata la motivazione del provvedimento impugnato, la quale fa leva sul tenore di un messaggio che ben può essere inteso come rivelatore di una situazione di grave disequilibrio psichico e che è stato correttamente ritenuto sintomatico di inadeguatezza alla detenzione di armi. Si tratta di un accadimento che colora, appunto, la potenziale inaffidabilità del ricorrente nell’uso delle armi, puntualmente valorizzata nel provvedimento qui avversato, tali da non escludere qualsiasi dubbio sul soggetto interessato”.