L’approccio dei tribunali amministrativi nei confronti dei cittadini che ricorrono alla giustizia contro provvedimenti di diniego del rilascio del porto di pistola per difesa personale, è ormai da tempo sconfinato nel surreale. Per non dire che siamo approdati direttamente all’insulto nei confronti dell’intelligenza delle persone.
Ormai da tempo, il mantra che si legge sempre uguale nei dispositivi delle sentenze dei vari Tar e del Consiglio di Stato, è che il rilascio o il rinnovo del porto di pistola per difesa personale non è sufficientemente motivato, nel momento in cui al titolare non sia capitato di scampare effettivamente a una concreta minaccia per la propria incolumità. Da qui, a suo tempo, commentammo che in pratica oggi per avere il porto d’armi per difesa bisogna essere un “superstite”.
Con la sentenza n. 18304 del 6 dicembre 2023, il Tar del Lazio, sezione Prima Ter, è andato ancora oltre, certificando di fatto che anche nel caso in cui si siano verificati casi di aggressione, comunque la motivazione non è sufficiente al rilascio del porto d’armi.
A questo punto, per ottenere il fatidico porto d’armi non basta più essere “supersititi”, viene direttamente chiesto di avere lo status di “resuscitati”, come Lazzaro. Peccato che di casi come Lazzaro, da 2 mila anni a questa parte, se ne siano verificati pochini…
Nello specifico, il ricorrente aveva motivato la richiesta di rilascio del porto di pistola con il fatto che svolge contemporaneamente sia la professione di medico, sia di amministratore di due società di costruzioni edili. Per quanto riguarda quest’ultima attività, la situazione di rischio era rappresentata dalla necessità di trasportare somme di valore, mentre per il primo incarico il ricorrente aveva fatto presente di aver “subito aggressioni da parte di terzi, in occasione di servizi di soccorso medico con Automedica 118”.
Ebbene, i giudici hanno respinto il ricorso, con la seguente motivazione: “Il provvedimento evidenzia che le situazioni di rischio prospettate dal ricorrente sono generiche ed eventuali, mentre la movimentazione di denaro prospettata nel ricorso risulta avvenire in effetti perlopiù attraverso bonifici bancari e assegni. I diversi episodi di aggressioni subite dal ricorrente possono poi testimoniare situazioni di pericolo dell’operatore sanitario, che tuttavia non consentono di autorizzare il porto di armi per difesa personale. Sul punto va chiarito che non è possibile sindacare l’apprezzamento dell’Autorità di P.S., che la legge configura quale titolare dell’interesse pubblico all’ordine ed alla sicurezza della collettività, essendo a essa rimessa ogni valutazione in argomento, sia pure nei limiti di valutazioni tecniche”. Capito? In pratica: ti aggrediscono? E fatti aggredire. Ti bastonano? E fatti bastonare. Ti ammazzano? E fatti ammazzare, no? Che ti costa…
Il passo più incredibile è tuttavia il seguente: “La valutazione in proposito è rimessa all’autorità ed il giudice, ove la stessa si mantenga nei limiti della logicità e della ragionevolezza, non può ad essa sostituire le proprie valutazioni. Tantomeno può assumere rilievo l’affermazione del ricorso secondo cui “…i territori abitualmente percorsi dall’automedica -e i teatri ove il Dott. -OMISSIS-si trova ad espletare quotidianamente il servizio di soccorso sanitario- sono ambienti (soprattutto-OMISSIS-) notoriamente pervasi da malcostume, delinquenza e criminalità anche di elevato spessore”. Basti rilevare che si tratta di situazioni che in linea di principio spetta alle Autorità di PS ed alle dipendenti Forze di Polizia presidiare e reprimere, non certo al cittadino”. E ancora: “Lo stesso ricorrente rammenta il generale divieto di circolare armati, sancito dall’art. 699 codice penale e dall’art. 4, comma 1, della legge n. 110/1975 (Corte Costituzionale, sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7). Costituisce quindi principio dell’ordinamento il divieto di portare armi da fuoco, atteso che non spetta al cittadino la tutela dell’incolumità ed integrità fisica delle persone e dello stesso individuo”.
Capito? Se uno ti sta ammazzando di botte, mettiti tranquillo e aspetta la Gazzella. Senza fare confusione che poi ti tocca anche una sanzione per disturbo della quiete pubblica.
Quindi, in sostanza, si è messo nero su bianco che il cittadino non può difendere sé stesso in nessuna circostanza, neanche quando la sua incolumità presenti una minaccia grave e attuale e quando, soprattutto, le forze di polizia non siano presenti sul posto. Bisognerebbe a questo punto chiedersi cosa l’abbiano fatto a fare, l’articolo 52 del codice penale. E soprattutto, se neanche pregressi eventi di aggressione costituiscono una valida motivazione per la concessione del porto d’armi, a questo punto, dopo aver letto decine se non centinaia di motivazioni dei giudici amministrativi circa cosa NON rappresenti un “dimostrato bisogno” di girare armati, occorrerebbe che qualcuno di codesti signori si disturbasse a spiegare a tutti noi cittadini che cosa, in definitiva, oggi, lo possa rappresentare. Perché a dirla tutta, a questo punto, non è chiaro. Appare invece chiaro, ed è gravissimo, che non solo per il giornalismo generalista ma anche per i giudici amministrativi, tra la difesa personale e il “farsi giustizia da sé” non c’è alcuna differenza. Andiamo bene.