L’ex presidente di Arcicaccia, Osvaldo Veneziano, ha rassegnato le sue dimissioni dal Comitato Scientifico della stessa associazione. Le motivazioni sono varie, tra cui la necessità, come ha dichiarato lui stesso, di un nuovo orientamento strategico, culturale e sociale della caccia. Veneziano ha proseguito esprimendo fiducia in una trasformazione della pratica e della cultura dell’attività venatoria, mettendo come indispensabili i pareri Ispra. Ha aggiunto anche: “Per trasformare il residuo brandello che anche noi chiamiamo caccia (già in necrosi), in cultura e pratica della gestione faunistica, vedo una sola possibilità: gestione e prelievo conservativo, rispettosi di quei principi scientifici di precauzione”.
Concetti molto ampi, che da molto girano anche nella nostra testa. Naturalmente opinioni che possono essere catalogate come personali. Ultimamente si fa un gran parlare di una nuova legge sulla caccia: per cambiarla, modificarla, renderla più consona ai tempi. Ma sempre più ci convinciamo che la priorità non è cambiare la legge. Ma cambiare i cacciatori. E le loro visioni. Non certo responsabili univoci delle tante colpe che gli altrettanto colpevoli animalisti hanno. O dei tanti e variegati cittadini italiani di ogni categoria che, altrettanto, ne hanno nei vari ambiti. Ma di certo non è che avere più specie cacciabili, più giorni alla settimana, tempi più lunghi, possano risanare il deserto avifaunistico autoctono che ci avvolge. Siamo onesti. Il grande patrimonio di ungulati, che in certi ambiti ha già risentito di gestioni troppo “snelle”, è dovuto proprio alla pioggia di parchi, zone protette, oasi di ogni tipo, Natura 2000, e chi più ne ha più ne metta. E in questo i nostri, paradossalmente, alleati animalisti, per farci un dispetto ci hanno invece reso talmente necessari che ancora non si riesce a sanare il disastro che hanno combinato. Le migliaia di specie in eccesso, le migliaia di specie altrettanto invasive, debbono dire grazie soltanto a loro. E noi pure. Nella rimanenza del territorio però non siamo mai riusciti a fare a meno degli inutili e anti-tecnici ripopolamenti pre o post apertura. Che illudono che ci sia ancora un tipo di caccia consono che valga la pena frequentare. Questo per tornare alle parole iniziali di Veneziano. Che, chiariamo, non abbiamo mai trovato in sintonia con le nostre idee, ma che sicuramente evidenzia una nuova maniera di vedere l’attività venatoria. Trincerarsi ancora dietro le “tradizioni”, che sicuramente coinvolgono, trascinano, ci fanno ricordare tempi beati faunisticamente parlando, è fatuo obiettivo. Non si possono far resuscitare i morti. E applaudire a chi ci prospetta, non una difesa della nostra attività, ma il depliant del ritorno al passato. Per cui non prendiamoci in giro: abbiamo certamente bisogno di tutte le zone protette e salvaguardate, ma indissolubilmente debbono entrare in esse le gestioni faunistiche delle specie in eccesso. E ancor più l’eliminazione, sì eliminazione o eradicazione scegliete voi, delle specie invasive. L’animalismo se ne faccia una ragione. Lotteremo per questo.
Ma l’avifauna tutta, stanziale e migratoria, sarà prelevabile solo nella misura in cui scaturirà in eccesso dalle operazioni di riproduzione naturale. Come era tanto tempo fa. E come dovrebbe essere. Alla larga da ogni ripopolamento. Ma men che mai illuderci del nuovo corso che viene sbandierato. La caccia potrà essere ancora concepibile nel futuro solo come gestione di specie in eccesso. Ovunque. Lavoriamo quindi per quel futuro. Che il passato l’abbiamo già vissuto.