L’attentato di due giorni fa all’ex presidente (e attuale candidato alla presidenza) degli Stati Uniti Donald Trump occuperà le prime pagine dei giornali e le aperture dei Tg per settimane, sia per tutti i retroscena politici che porta con sé, sia perché obiettivamente solo per un soffio, per un miracolo, non si è trasformato in quello che voleva essere: un assassinio. Come è ormai noto, infatti, Trump è stato colpito solo di striscio a un orecchio, mentre altre persone presenti all’incontro pubblico elettorale nella cittadina di Butler, in Pennsylvania, sono state ferite gravemente e una è morta, a causa dei colpi sparati dall’attentatore. Già sono numerosi gli elementi che stanno emergendo relativamente all’identità dell’attentatore, Thomas Matthew Crooks, 20 anni, classico solitario con un passato di emarginazione e bullizzazione scolastica, al tipo di arma utilizzata (una carabina tipo Ar15), alla posizione di tiro (dal tetto di un edificio) e alla distanza (circa 165 yard, pari a circa 150 metri).
In funzione degli elementi oggi disponibili, sono stati molti gli appassionati di armi e/o balistica a essersi letteralmente “scatenati” in queste ore, con congetture di ogni genere (e relativa dietrologia complottistica) su come sia stato possibile “sbagliare” un tiro che, a detta di molti, sarebbe stato in realtà “facilissimo”. Cerchiamo allora di spiegare in modo elementare, perché un tiro del genere non sia in realtà così facile.
I motivi del fallimento
Uno degli elementi emersi in queste ore, tanto per cominciare, è relativo al curriculum scolastico di Crooks, con particolare riferimento a un suo tentativo di iscriversi alla squadra di tiro della Bethel Park High School, la sua scuola superiore. Ebbene, a quanto pare il tentativo di far parte della squadra è stato immediatamente frustrato dal suo istruttore, che lo avrebbe scartato sia per i risultati assolutamente pessimi dal punto di vista della precisione, sia perché Crooks, nelle occasioni in cui ha avuto la possibilità di maneggiare la carabina, si sarebbe lasciato andare a battute ritenute “scurrili” e “inappropriate”.
Altro elemento emerso in queste ore è che, anche se Crooks non aveva precedenti penali, l’arma non era comunque di sua proprietà: fu acquistata in realtà da suo padre, circa sei mesi or sono. Da spezzoni di immagini apparse subito dopo l’attentato sembra, tra l’altro, che l’arma fosse sprovvista di cannocchiale e che sia stata, quindi, impiegata con le sole mire metalliche. È possibile che in sei mesi un tiratore assolutamente “pessimo” si sia trasformato in un tiratore quantomeno “accettabile”? Probabilmente sì, ma a costo di un allenamento a dir poco intensivo, 7 giorni su 7, e comunque appare del tutto evidente che un allenamento per trasformare un tiratore pessimo, senza alcuna esperienza, in un “campione” richiede normalmente ben più di 6 mesi.
Balisticamente, una carabina Ar15 è in grado di colpire un bersaglio grande come la testa di un uomo a 150 metri? Certamente sì, abbondantemente, anche con le sole mire metalliche, malgrado una testa umana non sia un bersaglio di grandi dimensioni. Ma un conto è sparare in un poligono di tiro, prendendosi tutta la calma di questo mondo, un altro conto è sparare in un contesto come quello di Butler: vogliamo brevemente elencare i fattori “ansiogeni” presenti? Innanzi tutto la consapevolezza di una immediata reazione da parte della sicurezza del presidente, che avrebbe comportato inevitabilmente la propria morte; a questa consapevolezza si collega quella di avere, di conseguenza, solo pochi secondi (e pochissimi colpi) a disposizione prima di essere neutralizzati. A ciò si aggiunge che, secondo le prime testimonianze, in realtà la posizione del tiratore è stata scoperta già prima che quest’ultimo aprisse il fuoco (addirittura, incredibilmente, da un agente di polizia che sarebbe salito sul tetto e, vistosi minacciato da Crooks con la carabina, sarebbe ridisceso). Quindi, a questo punto, Crooks avrebbe avuto a disposizione in realtà una manciata di secondi per tentare il tiro (i tiri, meglio, perché ha sparato tra i 5 e i 7 colpi in rapida successione) a un bersaglio che, oltre a essere un ex presidente degli Stati Uniti, non era immobile bensì si muoveva sul palco. Ed è stato appunto un suo movimento improvviso a determinare il fato, facendo sì che la sua testa non si trovasse più nella posizione che aveva all’atto della pressione sul grilletto.
Al contrario…
Da quanto esposto si evince quindi che il tiro fosse tutt’altro che “infallibile”, diversamente da quanto propalato da appassionati, esperti della domenica eccetera. Il che porta, inevitabilmente, anche a smontare la tesi esattamente opposta scatenatasi nelle stesse ore, cioè quella relativa al fatto che l’attentato sarebbe stato in realtà una messinscena messa in piedi in funzione di consenso elettorale. L’idea che un tiratore, per quanto bravo (ma in tal caso doveva essere un campione assoluto) sia stato ingaggiato per colpire di striscio la testa di Trump mentre quest’ultimo si sbracciava e si muoveva sul palco è semplicemente folle, altro che irrealistica (e altro che Guglielmo Tell…): nessun tiratore al mondo riuscirebbe ad assumersi un rischio così elevato, per non parlare del fatto che, per quanto si possa essere “supporter” di un politico, ben difficilmente si giunge a farsi ammazzare per fargli avere un paio di punti in percentuale in più nei sondaggi…