Kamala Harris e la sua “schizofrenia” sulle armi

In una recente apparizione pubblica la candidata alla presidenza statunitense Kamala Harris ha ammesso di possedere un’arma e di non avere l’intenzione di “prendere le armi agli americani”. Tuttavia…

La candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti, Kamala Harris, sembra voler strizzare l’occhio in campagna elettorale ai legali possessori di armi, dismettendo tutto d’un tratto i panni del lupo, che aveva indossato fino a poche settimane or sono, a favore di quelli dell’agnello. In particolare, tra le ultime dichiarazioni pubbliche rese in materia di armi c’è stata innanzi tutto quella, in risposta all’altro candidato Donald Trump che l’accusava di voler confiscare le armi dei cittadini, di “non avere intenzione di prendere le armi di nessuno”, suggerendo caldamente a Trump di “smettere di mentire continuamente su questo argomento”. Nella stessa occasione ha specificato di essere ella stessa proprietaria di un’arma. La settimana seguente, nell’ambito di un evento streaming con Oprha Winfrey, ha aggiunto che sarebbe più che propensa a sparare a chiunque si volesse introdurre illegalmente nella sua abitazione.

È curioso notare che, a fronte della rassicurazione di non voler “prendere le armi di nessuno”, in occasione invece delle primarie per il precedente mandato elettorale di Joe Biden, nel 2020, la Harris avesse addirittura deriso l’esitazione di Biden nell’utilizzare un ordine esecutivo presidenziale per disporre il buyback obbligatorio delle cosiddette armi “d’assalto”, affermando: “ehi Joe, invece di dire no, non possiamo, dobbiamo dire che sì, possiamo”.

La Harris ha proposto sempre nel 2020 un programma di buyback obbligatorio, indicando il “modello australiano” come un esempio da seguire.

Proprio su questo sta il nodo: al di là delle proposte relative alle cosiddette “red flag law” (cioè quelle leggi che impongono il ritiro, quantomeno temporaneo, delle armi in presenza di indicatori di inaffidabilità del detentore, come casi di violenza famigliare o altro) e all’estensione del Background check a tutte le transazioni in materia di armi, che sono sicuramente di buon senso, il tema fondamentale della presidenza Biden (e della vicepresidenza della Harris) è sempre stata la lotta ai “black rifle”, ritenuti colpevoli (perché se non lo sapete, gli oggetti hanno un’anima e soprattutto una volontà…) dei sempre più frequenti “mass shooting”. Ora, considerando che i vari Ar15 sono tra le armi più diffuse tra gli appassionati, e considerando che i risultati pratici sulla violenza con armi da fuoco conseguiti dal cosiddetto “Brady bill” entrato in vigore durante la presidenza Clinton, sono quantomeno opinabili, appare abbastanza evidente che una normativa, sul genere di quella vigente in California, che vada a incidere solo sulle caratteristiche “estetiche” e sulla capacità dei caricatori delle armi di nuova commercializzazione, potrà avere una efficacia assolutamente minima in termini di prevenzione (ammesso che possa averne una, e le statistiche sul Brady bill fanno riflettere in questo senso), se non si agisce anche a livello retroattivo. Ammesso, ovviamente, che si creda nell’efficacia di prevenzione criminale dell’inseguire i singoli modelli di arma in funzione di quanto appaiono “cattivi”. Appare, quindi, che la posizione della Harris sulla questione del possesso legale delle armi da fuoco, stia andando verso un imbuto sempre più stretto: da un lato, in campagna elettorale, non ci si può permettere di alienarsi il consenso dei possessori legali di armi, che sono circa il 40 per cento del totale dei cittadini maggiorenni e una crescente percentuale dei quali votano “dem”; dall’altro, si rischia di sconfessare anni di campagna mediatica e propagandistica sul fatto che i Black rifle sono il “diavolo” e devono essere messi al bando. Nei prossimi mesi, il pubblico statunitense ne vedrà delle belle…