Un prototipo di pistola mitragliatrice realizzato da Scotti in piena seconda guerra mondiale. Sublime esecuzione e potenza da vendere, grazie al calibro scelto, ma concetti ispiratori risalenti a dieci anni prima. Soprattutto, irrealistico offrire un’arma fatta tutta dal pieno nell’epoca della lamiera stampata
Alfredo Scotti (1878-1950) è stato un progettista e un imprenditore dinamico ed eclettico, capace di spaziare in differenti settori e di adattarsi con grande flessibilità alle esigenze del mercato. Per quanto riguarda il settore armiero, l’impronta più innovativa che ha lasciato è senza dubbio il progetto di fucile semiautomatico che porta il suo nome, ma ridurre a questo la sua attività nel comparto della difesa sarebbe limitante e ingiusto. Come abbiamo in parte potuto vedere (Armi e Tiro, giugno 2009), Scotti si è cimentato praticamente con qualsiasi tipologia di arma: dai fucili anticarro ai fucili mitragliatori per la fanteria, dalle mitragliatrici per l’aeronautica ai cannoni antiaerei. L’ultima “scoperta” del suo multiforme ingegno è una pistola mitragliatrice, il cui prototipo è stato approntato nel corso della seconda guerra mondiale ma non è riuscito a raggiungere la produzione di serie. L’abbiamo fotografato grazie alla disponibilità della Tfc di Villa Carcina (Bs).
L’elemento più innovativo del progetto, almeno per quanto riguarda il panorama delle armi militari italiane coeve, è senza dubbio il calibro. Infatti, Scotti decise di camerare il suo mitra non per l’onnipresente e diffuso 9 mm parabellum (o per la sottovariante “vitaminizzata” italiana 9M38), bensì nel potente e performante 9×25 mm Mauser export. Questa cartuccia è stata apprezzata, nel corso degli anni Trenta, soprattutto nell’Europa centrale, ed è stata utilizzata prevalentemente nelle armi automatiche di Austria e Ungheria. In Italia, la Fiocchi ha prodotto un lotto di cartucce con contrassegni militari nel 1943, che si riteneva fosse destinato a finire in Ungheria. Oggi, con il ritrovamento di quest’arma, le cose possono essere rimesse in discussione. Soprattutto se si considera che la Fiocchi utilizzò, per i bossoli 9×25 mm, la stessa marcatura utilizzata sui 9M38 per il Mab, malgrado nessuna delle armi utilizzate dagli ungheresi fosse denominata “modello 38”. Questa è una cosa che ben difficilmente, allora come oggi, può essere accettata da un committente militare (tanto più dagli ungheresi, appassionatamente nazionalisti anche sulle piccole cose), e non è spiegabile con la presunta “fretta” conseguente allo stato di guerra. Anche durante la Repubblica sociale, in un contesto politico-militare ancora più drammatico, la Fiocchi eseguì sempre stampigliature dedicate su tutti i bossoli militari. Unica eccezione, quindi, il 9×25 mm Mauser: l’unico motivo plausibile è che il quantitativo di cartucce richiesto fosse così piccolo da non giustificare la realizzazione di un punzone dedicato. Ma se un Paese alleato avesse richiesto una fornitura di munizioni per un calibro non standard, è ovvio presumere che la Fiocchi avrebbe preso in considerazione la commessa solo se i quantitativi fossero stati tali da giustificare lo sforzo e, in tal caso, avrebbe certamente dovuto provvedere a punzonare i bossoli nel modo indicato dal committente (che paga e, fino a prova contraria, qualche diritto dovrà pur averlo). Diverso il discorso se, invece, la richiesta fosse arrivata da un’altra azienda privata italiana, impegnata nella realizzazione di un prototipo, magari arrivata a bussare alle porte della Fiocchi con la richiesta di un quantitativo ridotto di munizioni da realizzare al minor costo possibile.
Sia come sia, le scritte sulla culatta dell’arma situano cronologicamente questo prototipo a metà della seconda guerra mondiale (“Mod. 1942”, si legge), anche se l’organizzazione meccanica si rifà in modo evidente a schemi risalenti alla metà degli anni Trenta. Il costruttore è l’Om di Brescia, già partner commerciale di Scotti per altre armi automatiche. Ricordiamo che l’azienda Scotti era una commerciale, la costruzione effettiva delle armi era demandata ad altre aziende come Isotta Fraschini, Fna, Gnutti e, appunto, Om.
La struttura ricorda da vicino quella di un’altra pistola mitragliatrice in 9 mm Mauser, la Mp 34 adottata dall’esercito austriaco e prodotta dalla Steyr su progetto della svizzera Solothurn. Secondo l’azienda elvetica (di proprietà tedesca, comunque), la denominazione commerciale dell’arma era S1-100 e, come il prototipo Scotti, utilizzava un fusto con coperchio superiore incernierato, bloccato da un gancio elastico posteriore, e l’otturatore a massa battente con leva di rinvio che comprime una molla di recupero occultata all’interno del calcio. La canna è circondata da un manicotto con feritoie ellittiche per la ventilazione, è presente un compensatore (montato in modo errato) sulla bocca. La calciatura è di tipo convenzionale, in legno e non ripiegabile, realizzata in un solo pezzo con l’astina. Anche il Solothurn ha il bocchettone del caricatore laterale, solo che nello Scotti, per motivi che non siamo riusciti a comprendere, è sulla destra. La stragrande maggioranza dei concorrenti che utilizzano un caricatore laterale (Sten, Erma, Solothurn), infatti, presenta la sede di quest’ultimo sul lato sinistro, sia per consentire una presa di fortuna alla mano debole, sia per rendere più istintivo il cambio caricatore. Tutto l’opposto sul prototipo Scotti. Il serbatoio è bifilare a presentazione alternata, della capacità di 20 colpi, trattenuto da un solido ritegno a bilanciere. Quando il caricatore è estratto dalla sua sede, uno sportellino a molla chiude il bocchettone, evitando l’ingresso di sporcizia e corpi estranei. Sul lato opposto, ovviamente, la finestra di espulsione, ampia e rastremata sui lati superiore e inferiore per agevolare l’uscita del bossolo.
Sul lato destro del coperchio superiore della carcassa scorre la manetta di armamento, vincolata a un coperchio che chiude la feritoia di scorrimento e pieghevole in avanti per limitare l’ingombro ed evitare impigliamenti. La manetta è del tipo “non reciprocante”, come si dice con brutto neologismo, nel senso che non segue il moto dell’otturatore ma resta in posizione avanzata durante lo sparo. All’atto pratico, già con le prime manipolazioni dell’arma il profilo della manetta si è dimostrato particolarmente sfuggente e l’ampiezza del comando insufficiente, soprattutto considerando la notevolissima durezza della molla di recupero. Durezza facilmente spiegabile, considerando la potenza della cartuccia da gestire con un funzionamento a massa semplice.
Sul lato sinistro della carcassa è presente il selettore, costituito da una leva finemente rigata con tre posizioni: tutto indietro sicura, al centro colpo singolo, tutto avanti raffica. Spostando il selettore, si verifica anche uno spostamento longitudinale del grilletto. Il coperchio superiore, sul quale è fresata la tacca di mira fissa, è incernierato dietro la zona del bocchettone del caricatore. Realizzato di fresa con ammirevole precisione, è trattenuto in posizione da un gancio a molla. Sulla sommità del coperchio è presente, inoltre, un nottolino girevole che, tenuto in posizione parallela all’asse della canna, impedisce qualsiasi movimento al gancio, scongiurando aperture indesiderate.
Non è sorprendente che Scotti si sia ispirato a una pistola mitragliatrice svizzera: la sua continua ricerca di partner commerciali lo aveva portato diverse volte nella Confederazione (alcuni suoi cannoni di 20 mm, ricordiamo, furono prodotti dalla Oerlikon) e, quindi, può aver “assorbito” determinati concetti e scelte progettuali, applicandoli alle proprie esigenze. Per contro, realizzare nel 1942 un’arma di concezione così classica è un anacronismo difficilmente comprensibile per un soggetto così eclettico e innovatore. Non è questione di calibro o di sistema di funzionamento, ma di criteri costruttivi: un’arma realizzata tutta dal pieno, con procedimenti del tutto tradizionali, era ormai una mosca bianca nel panorama dei Paesi belligeranti. La corsa di tutti era verso la lamiera stampata, più che verso i masselli fresati dal pieno, a beneficio dell’economia ma, soprattutto, della pronta riproducibilità in grande serie. Negli stessi anni stavano venendo alla luce gli Sten, i Ppsh 41 e Pps 43 e quel miracolo dell’Armaguerra Og 42, distanti anni luce da un prodigio di meccanica sì, ma costosissimo e lento da produrre come questo. Può essere stato questo il motivo per cui l’arma non ha superato lo stadio di prototipo? È probabile. Un altro aspetto importante è fornito dal calibro, del tutto fuori dagli standard dell’Asse (con l’eccezione, già descritta, dell’Ungheria), potente e prestante ma anche difficile da gestire da parte del soldato, soprattutto in termini di durezza della molla dell’otturatore. Per arrivare a offrire, magari, 480 o 490 metri al secondo di velocità alla bocca della canna lunga 345 millimetri, quando una 9M38 riusciva a sviluppare già i 450 m/sec nel Mab 38A.
La prova completa su Armi e Tiro di luglio 2009
Produttore: Om società anonima, Brescia
Modello: 1942
Calibro: 9×25 mm Mauser
Funzionamento: chiusura labile
Alimentazione: caricatore bifilare amovibile
Numero colpi: 20
Lunghezza canna: 345 mm
Lunghezza totale: 960 mm
Sicura: manuale a leva, integrata nel selettore
Mire: tacca di mira fissa a “V”, mirino a lama innestato a coda di rondine su rampa
Cadenza di tiro: non rilevata
Peso: 4.800 grammi
Materiali: acciaio al carbonio, calciatura in noce
Finiture: brunitura nera lucida, otturatore in bianco