L’edizione on-line del quotidiano L’Avvenire, di ispirazione cattolica, si è recentemente lanciato in una ardita dissertazione sul fatto che, in materia di armi, “anche in Italia servono regole” (come recita il titolo dell’articolo). Ovviamente, viene citato il ddl Amati-Granaiola, enumerandone i notevolissimi pregi, senza che ovviamente l’autore dell’articolo si sia minimamente preoccupato di verificarne la fattibilità. Per esempio, perché tutti devono sempre ripetere pappagallescamente quanto sia bella e utile “un’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi”, quando è noto, arcinoto e risaputo che non c’è UNA compagnia di assicurazioni al mondo che risarcisca i danni derivanti da atti volontari compiuti con le armi?
Per quanto riguarda il rapporto tra cittadini e armi, si sottolinea anche come gli studiosi non vi sia il minimo dubbio “riguardo il costo sociale della disponibilità di armi da fuoco: in numerosi e autorevoli studi emerge chiara e incontestabile l’evidenza che a una loro maggiore diffusione è associata una maggiore intensità di omicidi, suicidi e di altre forme di crimine violento”. Ovviamente noi non ci permettiamo di mettere in discussione l’autorevolezza di tali studi, ci permettiamo però di far notare come le statistiche relative all’Italia diano gli omicidi in costante diminuzione da anni, per non parlare del fatto che nella città di Londra, dopo le misure restrittive in materia di armi volute da Tony Blair, in 5 anni i crimini di natura violenta fossero quadruplicati.
Nell’attesa di veder compiuto il miracolo con il ddl Amati-Granaiola, la soluzione per garantire la pace sociale agli uomini di buona volontà è quella del cosiddetto “buyback”: l’amministrazione pubblica, cioè, dovrebbe offrire un contributo per ogni arma consegnata volontariamente dai cittadini, contributo che, ovviamente, dovrebbe essere superiore alla quotazione media di mercato per quel modello e tipo di arma. Con quali soldi riuscire a far questo (e parliamo di milioni…), non è dato sapere. Più che altro quello che sfugge all’Avvenire è che in genere, il buyback viene effettuato dalle amministrazioni pubbliche, per acquistare armi detenute illegalmente, giacché altrimenti senza un incentivo economico, sarebbe impossibile riuscire a metterci le mani sopra, perché tali armi, essendo illegali, sono invisibili a qualsiasi tipo di censimento o ricerca. Le armi detenute legalmente consengate in virtù del buyback sono, generalmente, quelle ricevute in eredità, per le quali gli eredi non manifestano interesse, ma in tal caso non si capisce per quale motivo lo Stato italiano dovrebbe pagare per avere qualcosa che, oggi, riesce a ottenere gratis (mediante l’istituto della rottamazione).
Un bel concentrato di superficialità e qualunquismo, non c’è che dire!