Il tema "caldo" del momento è quello delle armi realizzabili con stampanti 3D. In realtà, però, sono alcuni decenni che…
Negli ultimi mesi ha tenuto fortemente banco sugli organi di informazione generalisti la questione delle armi improvvisate realizzabili tramite le moderne stampanti 3D. Il problema è venuto alla ribalta quando il collettivo Defense distributed fondato da Cody Wilson decise, nel 2013, di caricare sul Web i piani della prima pistola realizzabile con stampanti 3D. Che, altrettanto rapidamente, furono oscurati dal dipartimento di giustizia statunitense, dando il via a un contenzioso tra libertà di espressione e tutela della pubblica sicurezza che si è protratto per cinque anni. Pochi giorni fa, un accordo tra il dipartimento di giustizia, l’associazione di tutela degli appassionati d’armi americani Second amendment foundation e Defense distributed ha riconosciuto il diritto dei cittadini statunitensi ad avere accesso, discutere, utilizzare, riprodurre o prendere altrimenti beneficio dai dati tecnici che erano precedentemente stati “bannati” a Defense distributed, ma i giudici di numerosi Stati americani si sono opposti contro questa decisione e lo stesso presidente Donald Trump ha manifestato in un Tweet la propria perplessità sull’argomento, dichiarando di aver interpellato in tal senso la National rifle association e di ritenere la cosa “priva di senso”.
Le critiche, ovviamente comprensibili, paventano il fatto che con la disponibilità in Rete dei progetti di pistole o carabine stampabili mediante una stampante 3D si possa avere a disposizione una vera e propria “morte scaricabile” (downloadable death, come l’ha definita una attivista anti-armi statunitense). Unico requisito, l’acquisto di una stampante 3D, che oggi si può fare con poche centinaia di dollari. In realtà, però, le cose non sono proprio come sembrano.
Innanzi tutto, anche se sono apparentemente simili, le stampanti 3D non garantiscono la realizzazione di manufatti perfettamente identici dal punto di vista della densità e robustezza del materiale: anche oggi alcune stampanti 3D consentono effettivamente la produzione di “pistole” più o meno funzionanti, altre invece tirano fuori esemplari che letteralmente si disintegrano con lo sparo del primo colpo, costituendo in pratica un pericolo solo per il tiratore.
C’è, comunque, un ulteriore aspetto da considerare: innanzi tutto quello relativo al fatto che le armi, per funzionare, necessitano di munizioni, le quali non sono certamente “stampabili”, se non altro per quanto riguarda le componenti attive (innesco, polvere). Inoltre, il fatto che la canna non sia in metallo fa sì che una eventuale rigatura non abbia sufficiente resistenza per imprimere il moto giroscopico al proiettile che, quindi, esce dalla canna con un moto assolutamente casuale e non consente di effettuare un tiro mirato di qualche genere, limitando la gittata utile a forse un paio di metri, non di più.
Più che altro il problema è che… le istruzioni per produrre armi in casa esistono da decenni: nei soli Stati Uniti sono decine, forse centinaia i libri (disponibili anche on-line e quindi accessibili virtualmente in tutto il mondo) che forniscono precise indicazioni su come realizzare esplosivi con prodotti chimici di facile reperibilità, trappole esplosive, mine, lanciafiamme, persino pistole mitragliatrici con tanto di disegni tecnici quotati (come quello della foto di questo articolo). Per molti di questi “prodotti” in realtà non serve neanche una particolare abilità tecnica e, soprattutto, non è necessario neanche l’acquisto di una stampante 3D!
La riprova della facilità di realizzare armi con oggetti di circostanza è costituita dalle cosiddette “zip guns”, cioè quelle armi realizzate modificando oggetti di normale reperibilità (tubi o raccordi idraulici, pinzatrici, qualsiasi cosa) in modo da trasformarle in vere armi da fuoco.
Più di tutto, non si capisce quale convenienza vi sia nell’investire cifre tutto sommato non trascurabili per avere una stampante 3D con la quale realizzare armi fragili, assolutamente non precise e pericolose per chi le utilizza, quando con un investimento decisamente più contenuto è possibile, anzi agevole, procurarsi armi “vere” sul mercato nero. Oppure, comprare tubi e altro per fare una pistola "di circostanza".
Ecco perché, quindi, la questione delle armi stampabili con le stampanti 3D allo stato attuale della tecnologia è una cosa capace di fare molto rumore, ma di avere ben poche conseguenze pratiche. Per fortuna!