Australia: già si parla di inasprire le leggi sulle armi

Neanche il tempo di far raffreddare le vittime del massacro antisemita avvenuto sulla spiaggia di Bondi, in Australia, e il primo ministro australiano Anthony Albanese ha già annunciato restrizioni in materia di armi

Si può definire, tristemente, una fotocopia di quanto accaduto pochi anni or sono in Nuova Zelanda, o se si preferisce, di quanto accaduto un trentennio or sono nella stessa Australia: parliamo dell’annuncio dato dal primo ministro australiano Anthony Albanese, circa la volontà di apportare ulteriori restrizioni in materia di possesso legale di armi nel Paese, subito dopo quanto accaduto sulla spiaggia di Bondi beach. Il bilancio complessivo delle vittime causate dalla coppia di attentatori islamici, che inizialmente sembrava fossero padre e figlio mentre in questi minuti sembra che non avessero rapporto di parentela, che hanno attaccato la comunità ebraica intenta a iniziare le celebrazioni per la festa di Hannukah è di 16 morti e 38 feriti. Sembra che uno dei due attentatori disponesse di un permesso per l’attività venatoria ed è su questo aspetto che si concentrano gli strali del primo ministro, che ha annunciato di trattare il tema già nella riunione che si svolgerà al gabinetto nazionale nella giornata odierna.

L’idea, già annunciata, è quella di porre limiti al numero di armi che possano essere concesse in licenza a singoli individui e una revisione delle licenze dopo un periodo di tempo: “Le circostanze delle persone possono cambiare. Le persone possono radicalizzarsi nel corso del tempo. Le licenze non dovrebbero essere a tempo indeterminato”, ha dichiarato Albanese.

L’Australia per la verità ha già una lunga storia in fatto di restrizioni in materia di armi, un impulso particolare a questo tipo di iniziativa fu il massacro svoltosi a Port Arthur nel 1996 e, in effetti, da quella data a oggi non si erano in pratica più verificati fenomeni di eccidi di massa come quello di poche ore fa. Massacro che, sulla scia della pesante recrudescenza di atti di violenza nei confronti della comunità ebraica residente in Australia, da più parti è stato definito come “un massacro annunciato”.

Non si capisce, tra l’altro, quale dovrebbe essere l’utilità di limitare il numero di armi detenibili dai cacciatori australiani, atteso il fatto che il numero di armi utilizzate nell’attentato era pari al numero degli attentatori, né di quale utilità dovrebbe essere inasprire ulteriormente la normativa in materia di armi in uno dei Paesi occidentali che già ne vanta una delle più restrittive, a fronte del fatto (per esempio) che nella disponibilità degli attentatori siano stati reperiti anche ordigni esplosivi e che l’attentato in sé sia già stato ritenuto dagli inquirenti frutto della preparazione di mesi. Ancora una volta, semmai, si evidenziano pesanti lacune in termini di attività di prevenzione da parte delle forze dell’ordine, considerando in particolare l’accenno, emerso in queste ore, al fatto che proprio uno degli attentatori fosse “noto ai servizi di sicurezza”.

I sostenitori del controllo sulle armi evidenziano come rispetto al 1996, cioè all’anno zero delle restrizioni in materia di armi nel Paese, il numero delle armi legalmente detenute è comunque aumentato del 25 per cento, superando i 4 milioni di esemplari. La Sporting shooters association ha tuttavia sottolineato come il numero sia perfettamente coerente, anzi al di sotto della media, rispetto all’aumento della popolazione nello stesso periodo di tempo, che è stato del 48 per cento. A fronte di questi numeri, il numero di omicidi e di reati coinvolgenti armi da fuoco, in questi anni, è stato in costante calo nel Paese.