Bancarotta fraudolenta: salta il porto d’armi

Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso di un cittadino che si è visto negare il rinnovo del porto d’armi da caccia in seguito a condanna in primo grado per bancarotta fraudolenta

Con sentenza n. 14496 del 16 luglio 2024, la sezione Prima stralcio del Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato da un cittadino che si è  visto negare il rinnovo del porto di fucile per uso caccia, con la motivazione da parte della questura, che nei suoi confronti era in atto un procedimento penale per bancarotta fraudolenta con condanna già avvenuta in primo grado. Il difensore del ricorrente ha osservato che il reato di bancarotta fraudolenta non rientra tra le cause ostative indicate dal Tulps e che “sarebbe dunque un fatto irrilevante ai fini del diniego del titolo”.

I giudici tuttavia si sono dimostrati di parere opposto, respingendo il ricorso con la seguente motivazione: “deve ricordarsi la granitica giurisprudenza, la quale ritiene che la concessione del diritto alla detenzione di armi, costituendo una deroga al generale divieto sancito dall’articolo 699 codice penale e dall’articolo 4, comma 1, legge n. 110/1975, impone che il richiedente sia in grado di dimostrare di tenere una condotta di vita assolutamente priva di mende e irreprensibile.

Il giudizio prognostico di non affidabilità è frutto di un potere latamente discrezionale, in cui prevale l’interesse pubblico pozione al mantenimento dell’ordinata convivenza civile e alla salvaguardia della sicurezza pubblica.

Nel caso di specie, in maniera non irragionevole, l’amministrazione ha correttamente valorizzato la personalità del richiedente, al quale per altro era stata già revocata, in passato, la medesima licenza di porto di fucile.

Invero, il richiamato reato di bancarotta fraudolenta, seppur non espressamente menzionato dall’articolo 43 del Tulps e oggetto di accertamento non definitivo, è comunque significativo, secondo un giudizio prognostico, di una condotta di vita non irreprensibile, che può essere valorizzata dall’amministrazione nel momento in cui si tratta di rilasciare la licenza de qua, rispetto alla quale, si ribadisce, i consociati non sono titolari di un diritto soggettivo.

Detto altrimenti, il porto e la facoltà di usare e detenere armi, munizioni ed esplosivi non corrispondono a diritti il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, bensì sostanziano interessi cedevoli a fronte anche del ragionevole sospetto di pericolo di abuso (che la pubblica autorità ravvisa e quindi deve prevenire).

Nel caso di specie, il giudizio reso dall’amministrazione non pecca, dunque, di illogicità o di travisamento, così resistendo al sindacato estrinseco del Tar”.