La tragica morte del carabiniere di 35 anni accoltellato a Roma evidenzia il prezzo che i servitori dello Stato stanno pagando a una politica che in fatto di sicurezza latita da troppi anni
Il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, 35 anni, sposato da meno di 2 mesi, è stato ucciso con sette fendenti di coltello, uno dei quali al cuore, la scorsa notte a Roma. La sua “colpa”? Quella di aver fermato due persone sospette che trasportavano una borsa, che si è poi appurato avessero rubato poco prima a una signora, per restituirgliela dietro compenso. È quello che in gergo si definisce “cavallo di ritorno”, una via di mezzo tra il furto e l’estorsione. I colleghi dell’Arma hanno espresso la loro costernazione per bocca di Massimiliano Zetti, del Sindacato italiano militari carabinieri: “Questa mattina ci troviamo come l’ennesimo film già visto a piangere la morte del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, 35enne, che questa notte dopo aver ricevuto 7 coltellate, una delle quali lo ha colpito al cuore, è deceduto. Solamente poche settimane fa (il 4 luglio) dinanzi alle commissioni Affari costituzionali e giustizia, nel dare parere sul decreto sicurezza bis avevo lanciato il grido di dolore degli operatori che lavorano sulla strada. Avevamo chiesto introduzione delle body cam per tutti gli operatori su strada per documentare i casi in cui si renda necessario l’uso della forza; stanziamento di fondi per creare le “sale fermati” che dovrebbero avere in dotazione appositi requisiti con impianti di videocamere a circuito chiuso che permettano di documentare i sempre più frequenti casi di “autolesionismo” che vengono adottati sempre più spesso da coloro che vengono portati in caserma per esigenze connesse al servizio di istituto; dotazione non più rinviabile a tutte le pattuglie del Taser, strumento che permette veramente di operare a distanza e in completa sicurezza per l’operatore di polizia, soprattutto nel caso di personaggi armati e e in stato di esagitazione; assunzione di Dispostivi di Protezione Individuale previsti per tutti i lavoratori pubblici e privati quali per esempio guanti antitaglio. Spesso i colleghi riportano ferite da arma bianca ma anche recentemente si è assistito a colleghi morsi con relativo distacco di parti anatomiche. Solamente ad oggi, per l’anno 2019 siamo a oltre 70 episodi in cui colleghi, poliziotti, carabinieri e talvolta anche uomini delle polizie locali hanno subito lesioni anche gravi. Gli uomini sono stanchi, i colleghi si sentono demotivati e abbandonati. La politica intervenga. Il tributo di sangue del personale che deve garantire la sicurezza ai cittadini è altissimo. Oggi un’altra giovane vedova sarà aiutata in ogni modo dall’Arma dei Carabinieri. Noi diciamo basta, il governo intervenga per difendere I difensori della legalità”.
Ancora più netta la presa di posizione dei portavoce del Cocer carabinieri, Antonio Tarallo e Gaetano Schiralli: “Non è possibile morire così per un intervento stupido che normalmente si dovrebbe risolvere senza troppi problemi. Per quanto mi riguarda la responsabilità è dei vari governi, compreso questo, che si sono succeduti negli anni e che, per garantire diritti ai delinquenti, non hanno tutelato lo Stato e i suoi servitori. Sono certo che quei due banditi, anche una volta arrestati, andranno a farsi una vacanza di pochi giorni nelle carceri italiane per poi ritornare a delinquere e ammazzare gente innocente come nulla fosse. Non sono i decreti sicurezza che risolveranno mai questi problemi, ma sono leggi serie concordate tra politica e magistratura affinché il delinquente debba avere paura di commettere reati così come accade in tutti i paesi civilizzati del mondo”.
Se ci è consentito un giudizio “a caldo” su questo gravissimo episodio, non si può fare a meno di notare come quanto accaduto rappresenti il paradigma della percezione che il criminale medio ha dello Stato italiano: un luogo nel quale tutto è consentito, perché alla fine non si paga il fio della colpa e, se si paga, comunque dopo pochi anni si esce di prigione, più belli di prima. Se è possibile indicare precisi responsabili di quanto accaduto, non si può non menzionare un ordinamento penitenziario che per anni ha interpretato il concetto costituzionale della “rieducazione del reo” con una serie di sconti e abbuoni di pena che, ben lungi dal “rieducare” chicchessia, hanno invece completamente stravolto il concetto stesso di pena; non si può non menzionare dotazioni per il personale in servizio ormai non più al passo con i tempi: le body cam e il Taser non sono semplici orpelli, bensì strumenti che hanno lo scopo sia di tutelare l’appartenente alle forze dell’ordine, sia il sospettato. Precise responsabilità hanno anche coloro che, in questi anni, hanno consentito che l’impiego dell’arma d’ordinanza da parte degli appartenenti alle forze dell’ordine si traducesse automaticamente in una sentenza: una sentenza di anni di processo, anni d’angoscia, con sulla testa sempre la spada di Damocle di un risarcimento milionario ai parenti delle vittime, anche quando persino un cieco non avrebbe avuto alcunché da ridire sul loro operato (vedasi il caso genovese dell’accoltellamento del poliziotto…).
Bene, cari politici e anime belle: un risultato siete riusciti a ottenerlo, adesso le forze dell’ordine sono talmente terrorizzate all’idea di far uso dell’arma da fuoco, che preferiscono farsi picchiare, accoltellare, uccidere piuttosto che affrontare una magistratura palesemente “contro”. Gioite, allora, e leccate questo sangue che sgorga direttamente dalle vostre dita. Perché vostro era il coltello, vostra è la colpa, vostra la vergogna.