Il medico curante che ha emesso il certificato necessario per il rilascio del porto d’armi attestando, falsamente, l’assenza di disturbi psichici nel paziente che poi ha commesso un omicidio (proprio per la sua alterazione psichica) risponde del reato di falsità ideologica ma anche di omicidio colposo, a titolo di concorso omissivo, perché c'è un nesso tra la violazione della regola cautelare a lui imposta nell’assolvimento delle sue funzioni di medico nell’iter amministrativo del rilascio del porto d’armi e il successivo evento. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 22042/15, pubblicata sulla versione on-line del quotidiano La Stampa.
Il soggetto in questione chiese e ottenne il porto d’armi per Tiro a volo, acquistò una pistola e sparò due colpi contro un’altra persona, uccidendola, per poi uccidersi a sua volta. Il medico curante rilasciò un certificato anamnestico attestando falsamente che il soggetto non era affetto da turbe psichiche, malgrado avesse ricevuto dai medici specialisti che avevano in cura il paziente, una scheda di segnalazione e diagnosi per “disturbo psichico dispercettivo” con tanto di piano terapeutico.
La sentenza è particolarmente importante sia perché ribadisce che il medico di base ha una responsabilità nel rilascio del certificato anamnestico (nonostante lo si voglia far passare per una sorta di “autocertificazione” da parte del richiedente), sia perché tale responsabilità non si esaurisce con il reato di falso ideologico, ma può comportare anche il concorso omissivo in omicidio colposo.
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