Troppo ghiotta l’occasione per lasciarsela sfuggire: parliamo della tragica strage occorsa nella cittadina texana di Uvalde (nota fino a quel momento per aver dato i natali all’attore Matthew McConaughey) e della successiva narrazione che ruota intorno al controverso rapporto che c’è tra il popolo americano, le armi e la carabina semiautomatica tra le più amate dagli yankee, cioè l’Ar15.
Ecco quindi che assistiamo a una vera “raffica” (è il caso di dirlo) di articoli nei quali, dispiace constatarlo, la narrazione è rigorosamente a senso unico a conforto della tesi secondo la quale i mass shooting che si verificano negli Stati Uniti sono determinati da una e una sola causa: la diffusione di armi nella società statunitense e, in particolare, del “micidiale” Ar15. Dall’articolo del Corriere veniamo quindi a scoprire che l’Ar15 è “un’arma micidiale che spara a raffica proiettili piccoli e velocissimi” i quali “colpiscono l’obiettivo a 800 metri al secondo”, addirittura con “caricatori da 45 o 60 colpi”. C’è anche spazio per la medicina legale, affermando che “quando il proiettile colpisce una parte dura, perde stabilità e traiettoria dentro al corpo umano devastandolo. Se colpisce una spalla, il foro di uscita lo trovi dietro la schiena all’altezza del fegato”. E se colpisce l’altra spalla? Lo trovi nella cistifellea? Chissà.
La narrazione specifica che “è un’arma da guerra, ma venduta negli Usa anche come arma da caccia o difesa personale”. Ovviamente non si fa cenno alcuno al fatto che le versioni legalmente commercializzabili sul mercato civile non possano sparare a raffica, ma questo alla fin fine è un dettaglio secondario.
Si snocciolano, infine, tutte le località e le relative vittime di quest’arma micidiale, da Aurora in Colorado fino appunto a Uvalde, specificando che “nessun poliziotto armato di pistola può fronteggiare un soggetto con in mano un Ar15”. Be’, certo, visto che va addirittura a 800 metri al secondo… pardon, visto che è “capace di colpire l’obiettivo a 800 metri al secondo”…
Chissà quali superpoteri avrà avuto, allora, la donna che in West Virginia, pochi giorni or sono, ha proprio fermato con una pistola un pazzo armato di carabina “d’assalto” che si accingeva a emulare i fatti di Uvalde, mettendolo in condizioni di non nuocere prima che potesse fare anche una sola vittima. Fermo restando che le forze di polizia di molti Stati americani (anzi, praticamente tutti) oltre alle pistole prevedono armi ed equipaggiamenti che sono più simili a quelli di un esercito.
Si passa quindi a elencare le principali modifiche normative che sono state varate nel corso del XX secolo in materia di armi, dal National firearms act del 1934 fino al famoso “assault weapons ban” varato nel 1994 dal presidente Bill Clinton ma che nel 2004 l’amministrazione di quel guerrafondaio di Bush non ha rinnovato. Sarebbe stato interessante fare almeno un accenno al fatto che i principali analisti statunitensi considerano che i provvedimenti del 1994 siano stati sostanzialmente inefficaci nella prevenzione della violenza armata. Così come potrebbe essere utile ricordare che nell’81 (ottantuno) per cento dei mass shooting che si sono verificati negli ultimi vent’anni, sono state utilizzate pistole e non “carabine d’assalto”. Si potrebbe anche osservare che lo Stato dell’Unione nel quale si è verificato il maggior numero dei mass shooting è proprio quella California che, oltre ad aver bandito le “carabine d’assalto” e i caricatori maggiorati, ha in generale la legislazione in materia di armi più restrittiva sui 50 Stati.
Si tratta peraltro di informazioni pubbliche reperibili sul web agevolmente.
Ma tutto questo non gioverebbe a una narrazione precostituita che ha già trovato il comodo capro espiatorio nell’Ar15, quando invece il fenomeno dei mass shooting ha genesi, modalità e cause sfortunatamente ben più complesse. Questo naturalmente non significa che una carabina semiautomatica con caricatore ad alta capacità non abbia un potenziale di letalità elevato (che di per sé vuol dire tutto e niente: qualcuno, per esempio, ha valutato gli effetti terminali dei moderni proiettili espansivi per pistola, che negli Stati Uniti sono di normalissima diffusione per difesa personale?), né che la normativa americana in materia di armi non sia migliorabile su moltissimi aspetti. Lo abbiamo scritto in diverse occasioni e lo ribadiamo.
Dispiace tuttavia constatare che anche da parte della principale testata giornalistica italiana la narrazione non riesca a non essere appiattita sugli sciatti luoghi comuni che vengono propinati Oltreoceano dai movimenti anti-armi, i quali orizzonti prevedono però, purtroppo, appunto la lotta “alle armi” e non “alle cause” di determinati fenomeni criminali, in primis quello dei mass shooting.
Per leggere l’articolo del Corriere, CLICCA QUI.