Dalla Lombardia a Vibo Valentia, dal Veneto alla Sardegna, un po’ in tutta Italia, negli ultimi anni, si sta assistendo alla “estinzione”, o meglio alla progressiva rarefazione, di una professione che i cittadini, tutti, sono abituati a dare per scontata: quella del medico di base, un tempo noto come “medico di famiglia” o anche “medico di fiducia”. Le cronache ci dicono che ormai da anni le disponibilità di candidati al ruolo di medico di base sono costantemente al di sotto dei fabbisogni, in alcuni casi anche del 50 per cento e oltre. Il risultato è che quando un medico di base va in pensione, i suoi ex assistiti possono dover attendere anche mesi per riuscire a essere assegnati a un altro, tramite la Asl o il Comune.
Questa situazione è inevitabilmente fonte di disagi per i cittadini, innanzi tutto per avere l’assistenza sanitaria alla quale avrebbero diritto: se, tuttavia, per le situazioni urgenti o emergenziali si può ovviare con il pronto soccorso o la guardia medica, in particolare per chi deve rinnovare il porto d’armi o presentare la certificazione quinquennale di idoneità alla detenzione di armi (richiesta a tutti coloro i quali non hanno un porto d’armi in corso di validità), il problema non è di semplice soluzione.
La normativa relativa ai requisiti psicofisici per il rilascio o rinnovo del porto d’armi (decreto del ministero della Sanità 18 aprile 1998), in effetti, parla chiaro: per il rilascio o il rinnovo di un porto d’armi, è necessario far accertare la propria idoneità psicofisica a un medico della Asl o a un medico militare o della polizia di Stato, ma a costoro è necessario presentare un certificato anamnestico rilasciato, appunto, dal medico di base. Se si è in attesa di avere assegnato un nuovo medico di base, perché il proprio è andato in pensione o è deceduto, non c’è un soggetto che possa rilasciare il certificato anamnestico, perché la norma, correttamente, non prevede una figura che possa essere equipollente nel rilascio del suddetto certificato. Diciamo “correttamente” perché la ratio è quella secondo cui è il medico di base, o di famiglia che dir si voglia, a conoscere in modo più approfondito il paziente e a essere in possesso dei dati sanitari “storici” del paziente medesimo.
Per quanto riguarda il certificato medico quinquennale di idoneità alla detenzione di armi, il decreto legislativo 104 del 2018 non fa esplicita menzione al certificato anamnestico, perché dice solo che il cittadino deve produrre all’autorità di pubblica sicurezza “un certificato rilasciato dal settore medico legale delle Aziende sanitarie locali, o da un medico militare, della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dal quale risulti che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere”. Sta di fatto, tuttavia, che i suddetti medici non rilasciano il certificato, nella stragrande maggioranza dei casi, se il richiedente non si presenta con il certificato anamnestico del proprio medico di base.
Diversamente dai ritardi accumulati dalle questure nel rilascio o rinnovo dei porti d’arma, situazione che è stata determinata dall’accumulo di pratiche conseguenti alla situazione del Covid e che si auspica venga portata in pari con il procedere dei prossimi mesi, il problema della carenza di medici di base appare essere maggiormente strutturale e, di conseguenza, occorrono correttivi da parte della politica: rendendo, innanzi tutto, maggiormente attrattiva dal punto di vista remunerativo la professione del medico di base e snellendo gli adempimenti burocratici per l’esercizio quotidiano della professione, giacché è spesso l’eccesso di burocrazia a fungere da disincentivo per molti aspiranti medici di base.