Si ricandida il tre volte ministro dell’Agricoltura del Pd. Da cacciatore, ha preso un impegno sullo storno, ma si dovrà occupare di lupo e cinghiale. Cercando sempre una convergenza col mondo agricolo
Paolo De Castro, 61 anni, professore ordinario di Economia e Politica agraria presso l’università di Bologna, partito democratico, tre volte ministro dell’Agricoltura. Eurodeputato dal 2009 tra le file dei Socialisti e democratici, è stato presidente della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, dal 2009 al 2014 ed è vicepresidente uscente. Si ricandida nella circoscrizione Nord-orientale. È in piena campagna elettorale, da cacciatore…
«Sto facendo tanti chilometri, ho incontrato agricoltori, sono andato nelle stalle, nei caseifici, nei prosciuttifici. E ho incontrato anche tanti amici cacciatori, come me. Con loro ho preso un impegno riguardo allo storno: nella passata legislatura non sono riuscito ad allargare l’allegato alla Direttiva habitat per includerlo. Poi c’è il problema cinghiale: è evidente che la popolazione è al di sopra di quanto può essere gestito. Sto già lavorando sulla Habitat per il grosso problema lupo, insieme con il francese Michel Dantin: al commissario Karmenu Vella ho chiesta la modifica della direttiva per creare condizioni di convivenza con il mondo allevatoriale. Il problema non si può risolvere con le reti, ma in maniera diversa, con piani di gestione in varie modalità. Sta diventando sempre più una questione di sicurezza, perché i lupi non hanno timore dell’uomo. Cerco di fare la mia parte, se sarò rieletto porteremo parola a sostegno della categoria che può tornare veramente utile per ristabilire l’equilibrio tra specie allevamento e selvatiche, solo noi possiamo farlo. Senza timore penso che sia necessario ricercare equilibrio in un Paese che ha visto crescere la superficie boschiva a disposizione delle specie selvatiche, cosa che gli ambientalisti non sottolineano».
Non ha a che vedere con Europa, ma cosa pensa dell’apertura di M5s e Eps alla modifica dell’articolo 842 del codice civile per impedire il libero accesso dei cacciatori ai fondi privati?
«Noi scontiamo sempre la litigiosità tra associazioni venatorie, credo sia importante organizzarsi meglio dal punto di vista della presenza nelle organizzazioni europee, e poi organizzare iniziative congiunte tra il mondo agricolo e i cacciatori: possono essere grandi alleati. E c’è bisogno di portare evidenze scientifiche».
Le associazioni venatorie riconosciute oggi lavorano unitariamente nella Cabina di regia. Ha letto il manifesto elaborato proprio in occasione delle prossime votazioni?
«Vi si parla della centralità del ruolo del cacciatore nell’ambiente. Occorre che la Face, per esempio, approfitti di più del parlamento, attraverso la commissione agricoltura. Finora il rapporto si è sempre cercato di più con il consiglio, mentre bisogna mettere in evidenza la valenza ambientalista e di vigilanza dei cacciatori: noi non siamo scatenati appassionati dello sparo. E, poi occorre sviluppare un tema generale di cultura tra Nord e Sud dell’Europa: ci deve essere maggiore uniformità di intervento tra Paesi confinanti. Non ha senso che in Francia si cacci fino a febbraio, mentre noi interrompiamo a gennaio: occorrono interventi armonici per fasce geografiche, almeno sulle specie migratorie che hanno comportamenti omogenei. E, magari, occorre evitare incomprensioni sui dati scientifici relativi a specie e periodi di prelievo, come non sembra possibile in Italia».
Purtroppo nel 2017 lei votò a favore della direttiva 853/2017 che ha compresso gli interessi legittimi dei cacciatori e dei tiratori in nome della difesa dal terrorismo…
«Il nostro approccio fu quello di contenere la proposta della commissione che era molto sbilanciata: il risultato forse non è stato approfondito, ma noi siamo andati nella direzione indicata anche dalle associazioni venatorie. Se avessimo votato contro saremmo cascati nella proposta della commissione. C’era un problema tecnico, poi bisogna trovare maggioranze. Siamo stati criticati pesantemente da Cofferati, che era il relatore, c’è stata una pressione negativa contro di noi».
In realtà la Lega, Stefano Maullu all'epoca in Forza Italia e addirittura alcuni Paesi come Polonia e Repubblica ceca votarono contro…
Il Pd, ma anche Forza Italia, sembra abbiano fatto una conversione a “U” sulla caccia, in chiave animalista. Lei come lo giudica?
«Un partito grande ha dentro varie anime, io cerco di portare in una certa direzione, avanti per la linea. A volte ci dobbiamo accontentare e limitarci a trovare una minima convergenza su temi specifici».