Con sentenza n. 09209 pubblicata il 24 ottobre 2023, il Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi sui confini e sui contorni del “dimostrato bisogno” che l’articolo 42 del Tulps indica come requisito essenziale per la concessione del porto di pistola per difesa personale.
Nello specifico, il ricorrente è titolare di circa 50 negozi di parrucchiere nel Nord Italia e, conseguentemente, si trova a raccogliere gli incassi di tali esercizi commerciali, movimentando quindi una notevole quantità di contante. Ciò nonostante, la locale prefettura ha respinto l’istanza di rilascio del porto di pistola e il Tar Lombardia ha confermato il diniego. Il cittadino ha quindi presentato ricorso al Consiglio di Stato, che ha tuttavia nuovamente respinto il ricorso, così argomentando: “Con particolare riferimento al rilascio della licenza del porto d’arma per difesa personale, l’art. 42 del Tulps subordina l’autorizzazione in esame all’esistenza del “dimostrato bisogno dell’arma”. Ai sensi di legge, quindi, l’Autorità di pubblica sicurezza ha l’onere di valutare i casi in cui è possibile accordare l’uso delle armi per difesa personale, ancorando tale valutazione alla sussistenza di un effettivo bisogno dell’interessato di proteggersi da una situazione di pericolo. A tal fine, l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo per l’incolumità personale dell’istante, che giustifica il “dimostrato bisogno dell’arma” e che deve essere ricavato da circostanze di fatto specifiche e attuali, non potendo invece essere desunto né dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, né dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. St., sez. III, 28 marzo 2023, n. 3189; id. 25 gennaio 2023, n. 822; id. 20 gennaio 2023, n. 720). Con riguardo alla prova del “dimostrato bisogno”, essa ricade sul richiedente, e la circostanza che il porto sia stato autorizzato in passato non genera una inversione dell’onere probatorio. Chi chiede il rinnovo deve sempre provare l’esistenza di condizioni attuali e concrete di bisogno che giustificano la concessione dello speciale titolo di polizia, e l’esigenza di dar corso a questa verifica con frequente periodicità è confermata dal secondo periodo del terzo comma del citato art. 42 TULPS, per cui “la licenza ha validità annuale” (periodo aggiunto dall’art. 13, comma 1, lettera b), d.l. 9 febbraio 2012, n. 5). Tanto chiarito, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia esente dalle censure mosse da parte appellante. Invero, come ritenuto dal Prefetto e dal primo giudice, la circostanza che il signor -OMISSIS-quotidianamente trasporti ingenti quantità di denaro prelevato dai diversi negozi sparsi nel Nord di Italia non rappresenta una ragione da sola sufficiente a giustificare il rilascio del porto di pistola per difesa personale in assenza di episodi concreti che dimostrino un effettivo e attuale pericolo per la propria incolumità fisica. Come suddetto, l’assoluto bisogno di portare l’arma non può desumersi automaticamente dalla particolare attività professionale svolta dall’appellante (e dalle modalità del suo svolgersi) ovvero dal fatto di operare egli in zone asseritamente pericolose. Appaiono generici i richiami contenuti nel gravame volti ad evidenziare la particolare situazione ambientale in cui l’appellante opera (“negozio o abitazione isolata”, “necessità di attraversare quartieri malfamati”, “zona con alto indice di criminalità”). Tali riferimenti, infatti, integrano un mero rischio potenziale e non dimostrano alcuna sovraesposizione al pericolo di divenire vittima di fatti delittuosi. Infine, rispetto alla circostanza – valorizzata nel ricorso – che nel territorio pavese ci sarebbe stato un incremento dei reati contro la persona e il patrimonio, vale ricordare la necessità di impedire che l’aumento (o il paventato pericolo di aumento) di tali reati possa alimentare una generalizzata diffusione delle armi, determinando un ulteriore aggravio per la tutela della sicurezza pubblica (Cons. St., sez. III, 20 gennaio 2023, n. 720)”.
Da quanto esposto, si evincono tuttavia due indicazioni piuttosto preoccupanti: la prima è proprio relativa all’ultimo inciso della motivazione della sentenza, dalla quale si evince che le motivazioni addotte per l’accoglimento o il rifiuto del ricorso da parte del cittadino non obbediscono esclusivamente a valutazioni di tipo giuridico, bensì anche (esplicitamente) di tipo politico. Cosa che dovrebbe esulare da valutazioni dei magistrati, stante la separazione dei poteri dello Stato come requisito essenziale di ogni moderna democrazia, e questo fin dall’illuminismo, ma soprattutto considerando che sono poi gli stessi magistrati, ogni qualvolta la politica “sconfini” nel loro ambito, a rivendicare la propria autonomia. Evidentemente non vale l’opposto.
La seconda indicazione, altrettanto inquietante, è che nel momento in cui né la professione svolta, né l’ammontare delle somme contanti, né apparentemente alcun altro tipo di motivazione è ritenuta sufficiente a dimostrare il “bisogno” di girare armati, resta da chiedersi obiettivamente quale possa essere la motivazione residuale che possa essere valutata positivamente in tal senso da prefetture o giudici amministrativi. Sembra che i cittadini siano ormai nella condizione di dover offrire una vera e propria “probatio diabolica” o che, come abbiamo già evidenziato in altre circostanze, per ritenere “giustificato” il bisogno di girare armato, al cittadino non resti altra alternativa che quella di sopravvivere effettivamente a una aggressione. Sperando, ovviamente, di sopravvivere…