Ai piani alti del Viminale, da due anni, c’è un progetto “made in Bologna” che potrebbe dare un’identità sicura a tutte le armi in circolazione. Anche a quelle prodotte in altri paesi: ha un nome evocativo, “Diana”, acronimo di “Data investigation and analysis by a new approach”, e l’ha messo a punto il docente di tecniche investigative applicate dell’Alma Mater Francesco Donato, in collaborazione col Cineca. Ma quel progetto, che ha destato grande interesse quando fu presentato ad un congresso internazionale di Criminologia a Barcellona, nel 2008, non riesce a decollare. Così, se sulla scena di un delitto si trova un bossolo, o un proiettile, ma manca l’arma che ha fatto fuoco, agli investigatori non resta che consultare il sistema “Ibis” della polizia scientifica, mutuato dagli Stati Uniti, che però dispone solo di dati parziali. «È un silenzio che mi colpisce molto, quello del Viminale», dice il professor Donato, del polo criminalistico di Forlì, «Sembravano molto interessati al nostro database quando andammo a presentarlo a Roma. Dissero che presto mi avrebbero fatto sapere, ma la risposta non è mai arrivata». Forse perché, aggiungiamo noi, nel frattempo il Viminale ha puntato su un altro cavallo, cioè lo Space, che finora però ha dimostrato di essere più che altro un ronzino…
Ai piani alti del Viminale, da due anni, c’è un progetto “made in Bologna” che potrebbe dare un’identità sicura a tutte le armi in circolazione. Anche a quelle prodotte in altri paesi: ha un nome evocativo, “Diana”, acronimo di “Data investigation and analysis by a new approach”, e l’ha messo a punto il docente di tecniche investigative applicate dell’Alma Mater Francesco Donato, in collaborazione col Cineca