Al di là degli annunci trionfalistici, la consegna delle armi “d’assalto” da parte dei neozelandesi procede a rilento. E sulla seconda tranche di restrizioni, la primo ministro Ardern incassa il veto del partito conservatore…
Secondo fonti di informazione indipendenti locali, la trionfale operazione di “buyback” delle armi “d’assalto” disposta in pochissimi giorni dalla primo ministro neozelandese Jacinta Ardern dopo che un folle aveva aperto il fuoco in due moschee… non è particolarmente trionfale. Anzi, sembra essere un mezzo disastro, nonostante le dichiarazioni ufficiali. Secondo una prima stima sui dati disponibili, infatti, solo il 15 per cento dei possessori delle armi “d’assalto” in questione (tra le quali figurano tutte le carabine semiautomatiche, ma anche i fucili a pompa) ha finora consegnato qualcosa di ciò che era in suo possesso (ma c’è tempo fino al 20 dicembre, prima di incorrere in sanzioni). Appunto, “qualcosa”, perché i dati disponibili alla seconda metà di agosto evidenziavano 7.573 soggetti consegnatari di 10.844 armi “proibite”, più 46.129 parti e accessori. Secondo il listino del buyback, che parametra il risarcimento dovuto per la consegna dell’arma in funzione delle sue condizioni di conservazione, il prezzo medio pagato per quanto finora consegnato è risultato pari a 1.300 dollari per arma, contro un valore medio delle armi presenti nella lista pari al doppio, cioè 2.556 dollari, sempre in condizioni di usato. La conclusione degli analisti è che, finora, coloro i quali hanno consegnato le armi hanno consegnato quelle in peggiori condizioni. Inoltre, è significativo che ogni soggetto consegnatario abbia in pratica consegnato una sola arma o poco più. Quindi, questo sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) indicare che i possessori di armi “d’assalto” finora stanno semplicemente saggiando il terreno con il loro materiale di seconda scelta, ma (almeno per ora) si guardano bene dal consegnare i cimeli più pregiati. Si tratta ovviamente di ipotesi, in quanto la normativa neozelandese prevede la necessità di ottenere una licenza per acquistare armi, ma non richiede la necessità di registrarle, quindi non è chiaro né quante siano in totale le armi legalmente detenute nel Paese (si parla di una stima intorno a 1,2 milioni) né quale percentuale di esse sia rappresentata dalle armi “proibite”.
Nel frattempo la primo ministro Jacinda Ardern si è detta “fortemente contrariata” dalla decisione del partito conservatore (National party) di non appoggiare la seconda tranche di provvedimenti restrittivi sulla normativa in materia di armi, che sarà presentata in Parlamento nei prossimi giorni. Il leader del partito, Simon Bridges, ha infatti dichiarato che questo pacchetto di norme “si rivolge alle persone sbagliate, colpendo i cittadini rispettosi della legge invece dei criminali, delle bande e degli estremisti”.
La questione è stata stigmatizzata anche dal presidente dell’associazione di polizia Chris Cahill, che ha dichiarato: “spero che tutti i politici, inclusi quelli del National party, vedano la riforma sulla normativa in materia di armi come una possibilità unica nell’arco di una generazione, per liberare le nostre comunità dalle armi d’assalto e fornire la necessaria trasparenza rispetto a quante armi siano presenti in Nuova Zelanda”. Il punto è, infatti, che se non si approva la seconda tranche di provvedimenti in materia di armi, il primo dei quali è l’istituzione di un registro nazionale sulle armi esistenti nel Paese, anche la questione buyback resterà necessariamente aleatoria: come si fa, infatti, a millantare di aver “cancellato” le armi “d’assalto” dalle case dei neozelandesi se neanche si sa quante siano e in mano a chi? La questione sta diventando, a quanto pare, rapidamente paradossale, dimostrando per l’ennesima volta quali siano gli effetti grotteschi di un approccio alle riforme legislative comandato dall’onda emozionale (e dalla ricerca di facile consenso) anziché dalla pacatezza e dalla riflessione.