Ogni estate è alla ricerca del suo tormentone per attaccare la caccia. Negli anni è stata la siccità, la troppa pioggia, gli incendi… Quest’anno – motivo scatenante è stato purtroppo la tragedia di Cefalù collegata all'incontenibile proliferare dei cinghiali: troppi, dannosi, aggressivi. Ovviamente la causa viene addossata ai cacciatori! E' allora il caso di precisare come stanno le cose.
Non è più tempo e non c’è più spazio per strumentalizzazioni sul tema dei danni da fauna selvatica tra i quali preoccupano ormai a livello di "emergenza" quelli prodotti dalla presenza del cinghiale – e di altri ungulati – fuori controllo in molti territori italiani. Condizioni oggettive e responsabilità soggettive si sono incontrate determinando un quadro che dà la dimostrazione, allo stato delle cose, della sua ingovernabilità.
Alla base vi sono responsabilità di una insufficiente gestione, e soprattutto di incapacità delle Istituzioni preposte, ma anche prese di posizione prevaricatorie e ideologiche degli animalisti che (al solo scopo di salvaguardare una immagine da “vestali” a tutela di una purezza di pensiero e di azione che mira comunque a salvaguardare l’animale a scapito di qualsiasi altra situazione) hanno non minore responsabilità, avendo favorito e moltiplicato le “aggressioni” del cinghiale contro il patrimonio agricolo nonché determinato con la presenza del suide su strade, in città e in orti o giardini di abitazioni private, un crescente pericolo per la vita, come purtroppo l’episodio di Cefalù ha dimostrato.
È un episodio che aldilà del dolore che umanamente suscita e che colpisce duramente una famiglia incolpevole, fa riflettere sul fatto che quando un Paese deve trovarsi di fronte a un “sacrificio” di questa portata per rendersi conto di non essere stato capace di gestire correttamente il rapporto tra specie viventi, uomini compresi, dimostra il fallimento della politica e delle Istituzioni pubbliche e comunque mancanza di determinazione nell'affrontare un problema ormai di rilevanza nazionale.
Il lavoro fatto attorno al tavolo della Filiera ambientale dai diversi portatori d’interessi, ha bisogno di una accelerazione fattiva: non c’è più ritardo tollerabile, c’è bisogno subito di una normativa semplice e tempestivamente applicabile che affronti il tema delle specie selvatiche che recano danni al Paese, alle attività dei cittadini mettendo a rischio la loro stessa incolumità e che dia modo di effettuare interventi dentro e fuori i parchi. Istituti, che come ha opportunamente ricordato il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri sono vittime del problema “al pari degli agricoltori e dei cittadini che subiscono danni”. Siamo pertanto in attesa – che si chiede sia di brevissima durata – che al ddl di riforma della legge 394 sui Parchi (da qualche anno in Parlamento e che affronta questi temi), venga data priorità assoluta al fine di poter applicare da subito gli strumenti necessari – e senza ipocrisia tra questi anche il fucile – per controllare la inarrestabile diffusione dei cinghiali.
In un momento di crisi del Paese, troviamo il coraggio di trasformare un problema in risorsa, e riportando in equilibrio una specie che è “sfuggita di mano” si sfrutti la risorsa economica delle loro carni, a favore degli agricoltori e di altri operatori presenti sul territorio.
Una ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, della necessità di fare gestione in modo serio e concreto e non solo a parole nei convegni! I cacciatori sono pronti a farla e a servire il Paese, ma i Ministeri competenti battano un colpo.
Contestualmente viene rinnovata richiesta di una tempestiva convocazione al ministro dell'Ambiente e a quello delle Risorse agricole, nonché ai presidenti delle competenti Commissioni parlamentari, di tutti coloro che hanno responsabilità e tra essi i cacciatori per affrontare una situazione che coinvolge la incolumità dei cittadini nonché la tutela degli agricoltori che subiscono danni devastanti di dimensioni sempre più rilevanti.