È definitivamente passata in giudicato lo scorso 22 febbraio la sentenza emessa dal Tar di Napoli, V Sezione, n. 4956/2022 (udienza del 19/07/2022, depositata il 25/07/2022, Pres. Abbruzzese, Est. Maffei), che ha accolto il ricorso (condannando anche l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite) proposto nel giugno 2021 da un Assistente capo coordinatore della Polizia di Stato in servizio presso la Digos della questura di Napoli, il quale, dopo svariati anni di rinnovo, si era inaspettatamente visto respingere dalla prefettura di Napoli l’ennesima domanda di rinnovo del proprio porto d’armi per difesa personale. L’agente, assistito dall’avvocato Adele Morelli e dal consulente balistico Michele Frisia – entrambi docenti del Conarmi – ha ottenuto ampia ragione alle proprie difese, dapprima in sede cautelare, con l’ordinanza n. 1881/2021 (udienza del 03/11/2021, depositata il 04/11/2021, Pres. Di Vita, Est. Maffei), e quindi nel merito.
Il ricorso è stato accolto per “difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l’Amministrazione ha omesso un’esauriente valutazione […] delle esigenze di difesa personale analiticamente prospettate. […] L’elevata discrezionalità di cui è titolare la Pubblica Amministrazione, in materia di rilascio di licenza di porto d’armi per difesa personale, non esime quest’ultima dall’esercitarla secondo i principi di trasparenza ed esaustività dell’istruttoria, senza pertanto che ciò possa trasmodare in un’irrazionalità manifesta, cosicché nel caso di diniego di rinnovo del porto d’armi l’Amministrazione non può sottrarsi dal verificare puntualmente gli elementi obiettivi addotti dal ricorrente per asseverare la sussistenza della situazione di pericolo per l’incolumità personale. Applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, rileva il Collegio come la Prefettura non abbia puntualmente e esaustivamente evidenziato la sussistenza di ragioni prevalenti tali da giustificare il diniego del rinnovo di una licenza reiteratamente rilasciata a un appartenente alle forze dell’ordine che, di fatto, potendo girare armato in quanto appartenente a un corpo di polizia, ha chiesto di essere autorizzato, mediante la domandata licenza, a portare fuori dal servizio una arma più maneggevole e facilmente occultabile. […] il rigetto dell’istanza di rinnovo della licenza del porto di pistola per motivi di difesa personale è illegittimo, per difetto di adeguata istruttoria, qualora non abbia […] apprezzato le peculiarità del territorio e le sue specifiche implicazioni di ordine pubblico o anche non abbia valutato le situazioni specifiche in cui si trovi il richiedente (cfr.: T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 08/03/2021, n.431). Orbene, nella specie, il diniego opposto, fondato sul fatto che il servizio svolto non esporrebbe il ricorrente a uno specifico e attuale rischio per l’incolumità personale, non ha tenuto conto né della peculiarità dell’attività investigativa svolta dal ricorrente, né del parere favorevole che lo stesso dirigente dell’ufficio cui lo stesso è assegnato ha inoltrato alla prefettura onde asseverare l’esistenza di tale potenziale esposizione al pericolo. […] Non pertinente appare poi la possibilità prospettata dalla difesa erariale che il ricorrente possa, per ovviare alle esigenze rappresentate, utilizzare l’arma di ordinanza, che lo stesso ha – con argomenti non contestati – affermato essere (per dimensioni e tipologia) poco consona all’utilizzo per il quale è stata richiesta la specifica licenza […]. […] il ricorso dev’essere accolto e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti con cui l’amministrazione, oltre a considerare la specifica condizione di esposizione a pericolo dedotta dal ricorrente, dovrà anche valutare la possibilità che la stessa possa essere fronteggiata, in maniera altrettanto efficace, con l’arma in dotazione in ragione delle sue dimensioni e della sua tipologia”.
Si presentano quindi di notevole interesse i criteri interpretativi dell’art. 42 Tulps a cui è ricorso il Giudice amministrativo nella predetta sentenza, che possono così riassumersi: il dimostrato bisogno (sancito dall’art. 42 Tulps) in virtù del quale poter conseguire un porto d’armi per difesa personale deve essere inteso come necessità che l’interessato dimostri le proprie “esigenze di difesa personale”, quindi, il criterio delle “specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo”, a cui sovente gli uffici ricorrono per denegare la licenza, viene in questa sentenza sì citato, ma il suo contenuto viene correlato al più articolato e inclusivo concetto di “esposizione a pericolo”. Ossia: non viene richiesta la prova documentale di aver subito tentativi di aggressione alla propria persona ed esservi sopravvissuti, ma si chiarisce la necessità che la Prefettura apprezzi “le peculiarità del territorio e le sue specifiche implicazioni di ordine pubblico o anche […] le situazioni specifiche in cui si trovi il richiedente”. L’istruttoria che deve condurre la prefettura deve essere trasparente ed esaustiva, nel senso che la valutazione della situazione di esposizione al pericolo che l’interessato descrive deve essere valutata in maniera puntuale. Se la prefettura decide di optare per un diniego, è tenuta a chiarire le ragioni per cui intenda dare prevalenza alla decisione di non autorizzare il richiedente al porto dell’arma per difesa (in sostanza: perché nel bilanciamento degli interessi ha ritenuto di non consentire al richiedente di poter portare l’arma per ragioni di difesa personale?). Con riferimento specifico a un appartenente alle Forze dell’ordine, la prefettura deve tenere conto delle “peculiarità dell’attività” da questo svolta (già nell’ordinanza cautelare il Giudice amministrativo parlava di “situazione di specifica esposizione al pericolo cui il richiedente versa in ragione del servizio svolto in peculiari ambiti di contrasto alla criminalità, anche a matrice terroristica, propria peraltro degli uffici Digos”), del parere favorevole dato dal dirigente dell’ufficio di appartenenza, che come tale assevera l’esistenza di una “potenziale esposizione al pericolo” (già nell’ordinanza cautelare il Giudice amministrativo si esprimeva così: “Rammentato che la dedotta persistente esposizione a una situazione differenziata di pericolo, sebbene corroborato dagli acquisiti pareri dei dirigenti dell’ufficio cui è addetto il ricorrente, non risulta essere stata puntualmente valutata dall’amministrazione resistente”), e deve verificare che l’arma d’ordinanza in dotazione all’agente sia consona alle sue esigenze di difesa anche fuori dell’orario di servizio.
Quindi viene dettato il criterio generale per il caso specifico, ossia “l’amministrazione, oltre a considerare la specifica condizione di esposizione a pericolo dedotta dal ricorrente, dovrà anche valutare la possibilità che la stessa possa essere fronteggiata, in maniera altrettanto efficace, con l’arma in dotazione in ragione delle sue dimensioni e della sua tipologia”.