Servizio costruito ad arte, ieri sera, da Le Iene per gettare fango sui tiratori sportivi e i legali detentori di armi. Unica fonte, i database a senso unico di Opal. Le federazioni del tiro che fanno?
Costruito ad arte. Proprio così, con immagini “rubate” o di archivio, di provenienza americana. Matteo Viviani intitola il servizio “Quelle armi detenute legalmente che uccidono più della mafia”, sfruttando l’onda emotiva di, per fortuna, rari casi di cronaca in cui protagoniste sono state le armi detenute legalmente per criminalizzare i legali detentori di armi. Dando voce alla solita campana di Rete disarmo e Francesco Vignarca che rimbalza i database di Opal e Giorgio Beretta (le due organizzazioni sono in realtà coincidenti), il giornalista ne approfitta per chiedere che il ministero fornisca dati sul numero degli omicidi perpetrati dai legittimi detentori. Il database Opal, in questo macabro conteggio, ha incluso appartenenti alle forze armate e guardie giurate che portano l’arma per servizio e tutti i casi di eutanasia e anche di omicidio-suicidio per i quali senz’altro (tristemente) l’arma rappresenta una scelta più semplice e sicuramente definitiva rispetto ad altre. Intendiamoci: si tratta comunque di dati che devono far riflettere, ma senza gettare la croce o diffamare la categoria degli sportivi delle armi. Opal ha presentato con grande risalto i dati del 2018 che effettivamente avevano visto un incremento di questo genere di omicidi commessi ahinoi con armi legalmente detenute, ma in questa fase minimizza o trascura i primi dati 2019 che paiono invece confermare la tendenza al calo degli ultimi anni. Lo dice lo studio “Questo è amore” della polizia di Stato, sui primi 8 mesi del 2019. In termini di armi utilizzate per perpetrare femminicidi quelle da fuoco sono scese dal 38 per cento del 2018 al 18 per cento del 2019, contro un aumento sostanziale invece delle armi da taglio (dal 29 al 36 per cento) e degli oggetti contundenti (dal 13 al 27 per cento). Dunque la colpa non è delle armi da fuoco in senso stretto, perché chi vuole uccidere usa quello che può. Dunque le istituzioni rispondono, non come si vuol fare passare alla fine del servizio. Vignarca si lancia anche in equazioni discutibili sul numero dei cittadini che praticano il tiro sportivo e sul fatto che la licenza di Porto di fucile per uso tiro a volo verrebbe utilizzata per acquistare armi da parte di chi vuole difendersi in casa. Non si capisce cosa ci sia di male o di strano. È una facoltà dei cittadini, a patto che abbiano i requisiti.
Ecco allora altre semplificazioni, omissioni e falsità, nel servizio. “L’impressione è che i controlli sanitari, nel loro complesso siano estremamente superficiali”, per dimostrarlo bastano stralci ripresi con protagonisti resi irriconoscibili di un ipotetico aspirante alla licenza di Porto di fucile per uso tiro a volo che si reca dal medico curante (evidentemente conosciuto) e poi all’Asl. Poi al poligono per il diploma di maneggio. Qui è travisata anche la voce del direttore di tiro del Tsn di Milano. L’armiere Angelo Buzzini spiega le differenze tra i vari tipi di armi e quali siano migliori per il tiro a segno, ma fa più effetto riprendere un’arma di aspetto militare (che nella realtà è una semiautomatica per nulla o quasi differente da quelle utilizzate per la caccia al cinghiale).
Attendiamo ulteriori approfondimenti magari da parte di un istituto istituzionalmente super partes come l’Istat, per verificare se c’è stata effettivamente un’inversione di tendenza rispetto alla complessiva diminuzione degli omicidi degli ultimi anni. O se Opal e Le Iene abbiano inteso trarre conclusioni a capocchia sulle statistiche. Anzi a uso e consumo del “disarmismo” militante. Le 331 vittime del 2018 sono effettivamente 37 in meno del 2017, ma anche 69 in meno rispetto al 2016 (397), nel 2015 erano state 469, nel 2014 475, nel 2013 504, nel 2012 530. Rispetto all’Unione europea, il tasso di omicidi italiano è più basso della media, a guidare la classifica sono invece Lettonia e Lituania, con una media rispettivamente di 5,6 e 4,9 omicidi per 100 mila abitanti. Per quanto riguarda la tendenza degli omicidi suddivisi per genere, il calo più eclatante è tra gli omicidi di uomini che, in questi anni, è stato determinato soprattutto dal contrasto al fenomeno della criminalità organizzata; meno significativa, per contro, la riduzione degli omicidi di donne che, tuttavia, nel 2017 ha visto una riduzione del 17,4 per cento rispetto al 2016 (149 casi contro 123).
Nel volume “Sicurezza e legalità – Le armi nelle case degli italiani”, pubblicato quest’anno, a cura dei docenti dell’università La Sapienza Paolo De Nardis e Roberta Iannone, si legge che degli omicidi commessi tra il 2007 e il 2017 solo il 5 per cento è stato commesso con armi legalmente detenute e che quasi il 50 per cento dei casi (cioè il 2,45 per cento del totale) è stato commesso nell’ambito di un eccesso di legittima difesa. Tra gli omicidi commessi con armi legalmente detenute, circa il 12% è costituito da atti di eutanasia, realizzati con l’intento di alleviare le sofferenze della vittima. Il 68% degli eventi è un omicidio famigliare e in quasi la metà dei casi l’uccisore si è suicidato. La ricerca ha messo in luce che in oltre il 45% dei casi erano presenti criticità che avrebbero potuto far immaginare il pericolo di un omicidio: nel 5,6% dei casi l’uccisore era stato fatto oggetto di denunce o di diffide di pubblica sicurezza, in un caso anche di un Tso. Nel 22% dei casi l’omicida ha tenuto comportamenti indicativi (maltrattamenti, atti di violenza fisica o verbale eccetera) mentre in oltre il 15% dei casi mostrava problemi psicologici rilevanti (depressione, paranoia, eccetera). Da non sottovalutare le difficoltà economiche, presenti in oltre il 15% dei casi, che sono state talvolta l’elemento scatenante di eventi particolarmente sanguinosi.
Mi rendo ben conto che gli alfieri del disarmismo non hanno alcun interesse ad approfondire, ma sarebbe opportuno, anche allo scopo di trovare soluzione reali, possibili e praticabili ai problemi che affliggono la società e la famiglia italiana.
Fa specie che ancora non si sia levata alcuna voce a difendere l’onorabilità dei detentori di armi e degli sportivi del tiro italiani. Dove sono le federazioni? Dove sono le organizzazioni che dovrebbero tutelare i nostri interessi? Raccolgono tessere e basta o fanno effettivamente qualcosa, si fanno sentire nelle sedi opportune?