Il primo caso di peste suina africana in Italia si è presentato, a ridosso dell’inizio dell’anno, a Ovada (Al), in Piemonte. Il cinghiale è stato rinvenuto morto e, come prescrivono attualmente le norme, è stato sottoposto a controllo sanitario. Purtroppo è risultato positivo ai test e, pare, ucciso proprio dalla malattia. Stesso esito hanno avuto le analisi su altre due carcasse, reperite una nella provincia di Alessandria e l’altro in Liguria, a Isola del Cantone (Ge). È seguito, su indicazioni dei ministeri della Salute e delle Politiche agricole, il divieto di caccia, raccolta funghi, raccolta tartufi, passeggiate turistiche, escursionismo, movimentazione di animali allevati in zona sospendendo anche, naturalmente, le certificazioni veterinarie riguardante le carni di suini allevati.
Se in pochi giorni si sono già verificati tre casi di ritrovamento, ci aspettiamo nuovi sviluppi e purtroppo qualche altro caso. Ma, tenendo conto della criminalizzazione che subiamo noi cacciatori, ci chiediamo: chi sorveglierebbe boschi e aree naturali con la possibilità di monitorare eventuali ritrovamenti per le opportune segnalazioni? Forse gli animalisti millantatori di frequentazioni continue nella natura? Ne avete mai incontrati voi per montagne o per macchie impenetrabili, specialmente d’inverno o con tempo cattivo? Conosco già la risposta. I cosiddetti amanti della natura camminano sui sentieri comodi, nei dintorni di aree ristoro limitrofe a ristoranti o rifugi, naturalmente d’estate, al massimo in primavera e sempre con meteo favorevole. Per cui i cacciatori sono le vere e uniche “sentinelle del territorio”, in ogni periodo dell’anno, a ogni ora del giorno e della notte e, soprattutto, in zone inaccessibili alle persone comuni.
Possiamo immaginare, tra l’altro, i canti di giubilo delle associazioni animaliste nell’apprendere il divieto di caccia in tutte le forme nelle zone interessate. E, a questo punto, ci viene la tentazione di tranquillizzarli ulteriormente, in quanto, se il problema peste suina fosse così invasivo da estendersi ad altre zone d’Italia, l’attività venatoria sarebbe interdetta subito e in tutto il Paese. Forse costoro, però, dovrebbero accettare anche il divieto di tutte le altre attività all’aria aperta. Per cui niente passeggiate escursionistiche, niente visitatori di zone naturali, nessuna possibilità di raccolta dei frutti del sottobosco. Chiuderebbero ristoranti, rifugi, negozi locali di prodotti tipici, niente frequentazioni di alberghi, bed & breakfast, bancarelle, mercatini alimentari e molto altro. Ricordiamo soltanto che dovrebbero essere abbattuti tutti, dico tutti, i suini allevati, che in Italia sono milioni. E sarebbe proibita anche l’esportazione di qualunque prodotto della filiera, con una perdita quantificabile in oltre 1,7 miliardi di euro: che gioia per milioni di lavoratori!
Ecco, se si presentasse tale dilagare della peste suina, le persone comuni si renderebbero conto del problema creato proprio dalle continue avversità alla nostra attività di abbattimento dei cinghiali in sovrannumero, impedita con ogni mezzo possibile proprio dagli animalisti. Tutte le zone interdette all’attività venatoria, peraltro, sono piene zeppe di cinghiali, che hanno sicuramente favorito la diffusione di malattie tra gli animali a causa dell’eccessiva concentrazione. Se tutto il territorio non sarà sottoposto a controllo numerico del cinghiale, gestito da esperti e ricercatori e non da isterici “fratelli degli animali”, le conseguenze saranno inevitabili.