L’ennesimo paradosso nell’eterna casistica su quando il porto di un coltello o di altri strumenti atti a offendere sia giustificato e quando non lo sia. Come è noto, l’articolo 4 della legge 110/75 subordina la possibilità di portare fuori di casa strumenti da punta o da taglio atti a offendere al “giustificato motivo”. Ebbene, con sentenza n. 534 del 12 gennaio 2022 (udienza dell’11 novembre), la Cassazione ha respinto il ricorso del pubblico ministero verso la sentenza di proscioglimento del tribunale di primo grado, per particolare tenuità del fatto (ex art. 131 bis del codice penale) per il reato di porto di armi od oggetti atti a offendere ex articolo 4 della legge 110/75. L’imputato, nella fattispecie, aveva portato fuori dalla propria abitazione “un coltellino a serramanico, lungo 16 centimetri (di cui 7 di lama), detenendolo nella tasca interna del giubbotto da lui indossato”. La decisione assolutoria è stata basata dal tribunale di primo grado sul fatto che l’imputato era incensurato, di giovane età e la condotta era stata ritenuta “occasionale”, inoltre sul fatto che “l’arma sequestrata non presentava una particolare attitudine offensiva”.
Il pubblico ministero ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che “il giudice di merito avrebbe accertato la particolare tenuità del fatto senza offrire sul punto alcuna motivazione” e “in particolare, il tribunale non avrebbe effettuato una ricognizione delle circostanze e modalità di manifestazione del reato al fine di apprezzarne l’effettiva e concreta ridotta gravità”, valutando anche che “l’incensuratezza non era idonea, da sola, a giustificare l’applicazione la causa di non punibilità, atteso che il fatto era avvenuto di notte e che l’imputato deteneva anche 2 grammi di cannabis”.
La prima sezione penale della Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso, respingendolo, con la motivazione secondo la quale “La motivazione del giudice di merito è congrua e incensurabile in questa sede, atteso che ricollega il porto del coltello alla necessità di tagliare la sostanza stupefacente di cui l’imputato è stato trovato in possesso e non ad altri possibili scopi, che avrebbero permesso di ritenere una maggiore pericolosità della condotta”.
La corte ha inoltre osservato che “Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
Ciò che è necessario è una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta in quanto è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore (Sez. U, n. 13681, del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266590). La motivazione della sentenza impugnata non è apparente, né manifestamente illogica e tantomeno contraddittoria. Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali da imporre una diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sullo spessore della valenza probatoria del singolo elemento (così Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, Rv. 262965)”.