La diatriba sollevata dopo che si è saputo che il candidato a sindaco di Milano per il Centrodestra, il primario di neonatologia Luca Bernardo, ha portato la propria pistola in ospedale (in possesso di regolare porto d’armi per difesa e mai in corsia, come da egli stesso dichiarato), non si placa ma, anzi, assume rilevanza regionale.
I consiglieri Michele Usuelli di +Europa e Pietro Bussolati del Partito democratico, infatti, hanno presentato una mozione in consiglio regionale, volta a impegnare la giunta, in occasione dell’elaborazione delle linee guida previste dall’articolo 3 della legge regionale 15/2020 atte a garantire la sicurezza del personale sanitario e sociosanitario, “a prevedere un esplicito riferimento al divieto di ingresso armati nelle strutture sanitarie e sociosanitarie del territorio regionale (salvo deroghe per le forze dell’ordine)”. I due proponenti chiedono altresì alla giunta di “attivarsi per prevedere l’istituzione di un tavolo di lavoro tra forze dell’ordine e autorità sanitarie a livello regionale per stilare protocolli concreti che regolino i rapporti tra i due soggetti, al fine di definire nel dettaglio le modalità operative di intervento nei casi in oggetto”.
Nelle premesse e motivazioni della mozione, si fa esplicito riferimento al fatto che “grazie anche all’adozione di linee guida comuni e alla definizione di indicazioni chiare, si stanno moltiplicando le iniziative formative rivolte agli operatori del settore socio-sanitario al fine di garantire adeguata preparazione per la gestione degli episodi di aggressività…(omissis)… la gestione dell’aggressività dei pazienti e dei loro congiunti può quindi essere gestita secondo protocolli circostanziati che consentono di utilizzare iniziative precauzionali e di gestione dell’aggressività attraverso l’utilizzo di metodi psicologici che contribuiscono a disinnescare le situazioni ostili”. I proponenti osservano inoltre che “appare altresì necessaria un’azione di sensibilizzazione nei confronti del personale affinché ogni tipo di minaccia/aggressione sia immediatamente segnalata ai responsabili del reparto e/o alla direzione della struttura, così da concordare con le forze dell’ordine la necessità di interventi, immediati o a lungo termine, nei confronti dei soggetti minacciati”.
Nella mozione si spiega altresì che “la vastità di letteratura e di informazioni in merito al tema della prevenzione e della gestione del rischio di atti di aggressione nei confronti del personale sanitario e sociosanitario, consente di affermare che nel bagaglio formativo di ogni operatore esistono (o devono esistere) le competenze per far fronte nel modo migliore, più responsabile ed efficace, al manifestarsi di tali eventi”.
I proponenti osservano infine che “in alcuno dei protocolli segnalati e delle linee guida adottate a livello internazionale, si fa riferimento all’opportunità, da parte del personale sanitario, di dotarsi di armi da difesa personale, anche solo a scopo intimidatorio nei confronti di possibili episodi di violenza. Il possesso di armi ha invece un effetto controproducente in quanto non tutela l’operatore da possibili aggressioni, ma gli attribuisce una pericolosa sensazione di falsa sicurezza, non contribuisce a rasserenare il clima con pazienti e familiari eventualmente aggressivi e mette a rischio l’incolumità delle persone circostanti. Il dovere di ogni operatore sanitario non è quello di armarsi ma, come già detto, di segnalare alla direzione ogni episodio di minaccia o di violenza visto o subìto, considerato inoltre che in buona parte delle strutture sanitarie esistono posti di polizia o servizi di vigilanza privata che possono svolgere efficacemente un’azione di primo intervento. La presenza di armi nelle strutture sanitarie e sociosanitarie rappresenta una contraddizione stridente e un controsenso inaccettabile rispetto alle finalità di cura ed assistenza che tali luoghi incarnano. Risulta peraltro difficile ipotizzare che le armi in possesso del personale sanitario possano essere lasciate al sicuro, al di fuori delle corsie, posto che persino nei reparti psichiatrici, unici luoghi nei quali le forze dell’ordine dovrebbero entrare disarmate, spesso non esistono luoghi sicuri nei quali depositare le armi”.
Alcune osservazioni si impongono
La mozione in questione rappresenta evidentemente l’opinione sull’argomento da parte dei due consiglieri e, in quanto tale, è senz’altro del tutto rispettabile. Vi sono tuttavia alcuni passaggi nel lungo ed elaborato preambolo della mozione (il testo integrale può essere letto cliccando sull’allegato in fondo al resto) che lasciano abbastanza perplessi per non dire allibiti.
Il primo aspetto è relativo ai “posti di polizia o servizi di vigilanza privata che possono svolgere efficacemente un’azione di primo intervento”: un esempio, purtroppo, drammatico in questo senso è rappresentato da quanto accaduto nel 2015 al tribunale di Milano, luogo per antonomasia presidiato dalle forze dell’ordine, nel quale tuttavia un soggetto riuscì a introdursi, armato, e a uccidere tre persone prima che potesse essere fermato. Per quanto “pronto”, quindi, il “pronto intervento” ha palesato di non essere a costo zero. Tutt’altro.
La seconda perplessità è il reiterato riferimento ai protocolli per la gestione dell’aggressività, che il personale sanitario “deve” conoscere. Anche ammesso ciò, quindi nel momento in cui un soggetto folle, o alterato da alcool o sostanze psicotrope, decidesse di ferire gravemente o uccidere un medico, un infermiere o altro soggetto dipendente dell’ospedale, la colpa è della vittima che non ha saputo “gestire” l’aggressività dell’aggressore? Stiamo scherzando, vero?
La terza è relativa all’accenno al fatto che nelle linee guida internazionali non si farebbe “riferimento all’opportunità, da parte del personale sanitario, di dotarsi di armi da difesa personale”. Probabilmente è vero, altrettanto verosimilmente è logico ritenere che nelle stesse linee guida internazionali non si faccia alcun riferimento al fatto che il personale sanitario abbia un esplicito divieto a munirsi delle autorizzazioni per il porto dell’arma. Anche perché in caso contrario, ciò sarebbe stato debitamente e prontamente riferito dai proponenti la mozione.
Relativamente al fatto che risulterebbe “difficile ipotizzare” un luogo sicuro nel quale lasciare le armi all’interno dell’ospedale, forse è “difficile ipotizzarlo” per i due proponenti la mozione, ma c’è il fatto che neanche dovrebbe essere loro competenza. La responsabilità della custodia dell’arma compete al proprietario dell’arma e siamo noi, questa volta, ad avere qualche dubbio sul fatto che, a fronte delle diversissime strutture ospedaliere presenti nel territorio lombardo, tutte siano accomunate dal non avere luoghi idonei per la custodia dell’arma, laddove vengono ordinariamente conservati in sicurezza stupefacenti, veleni e altre sostanze sottoposte a sorveglianza.
Rispetto ai settori dell’industria e dei servizi, l’incidenza degli infortuni per aggressione e violenza nei confronti del personale sanitario nel quinquennio tra il 2015 e il 2019 sono stati pari a tre volte tanto (9 per cento sul totale degli infortuni contro il 3 per cento). Il 41 per cento dei casi è concentrato nell’assistenza sanitaria degli ospedali e degli studi medici, il 31 per cento nei servizi di assistenza sociale residenziale, il 28 per cento nell’assistenza sociale non residenziale. È opportuno sottolineare, anche, che oltre il 70 per cento dei casi di aggressioni e violenze a carico del personale sanitario, è commesso nei confronti delle donne.