È già nota come la direttiva contro l’ecocidio, quella votata dal parlamento europeo lo scorso 26 gennaio con 499 voti favorevoli, 100 contrari e 23 astenuti. Una norma che ovviamente dovrà essere recepita dalle legislazioni dei singoli Paesi dell’Unione europea entro il volgere di due anni e che prevede pene comprese tra i cinque e i dieci anni di reclusione per coloro i quali si macchino di gravi reati ambientali, come il commercio illegale di legname, l’esaurimento delle risorse idriche, le gravi violazioni in materia di sostanze chimiche e l’inquinamento causato dalle navi. Oltre alle pene detentive per i singoli, sarà possibile comminare sanzioni alle aziende responsabili, pari al 3 o al 5 per cento del fatturato annuo o fino a 40 milioni di euro. Gli Stati membri dovranno poi organizzare corsi di formazione specializzati per le forze dell’ordine e la magistratura, redigere strategie nazionali e organizzare iniziative di sensibilizzazione contro la criminalità ambientale.
Da molti, l’iniziativa è stata salutata come un significativo passo in avanti nei confronti della tutela degli ecosistemi, ma c’è anche chi evidenzi la decisa deriva giustizialista assunta dall’Unione europea. Inoltre, non si può fare a meno di notare come, da quanto finora emerso (il provvedimento non è ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione), vi siano riferimenti generici quanto preoccupanti, tra i reati previsti, anche quelli relativi a “Uccisione, distruzione, prelievo, possesso, commercializzazione di esemplari animali”. Auspicabilmente, come per il legname, si parla di chi agisca al di fuori delle regole, quindi al di fuori della normativa venatoria e dei piani di abbattimento previsti dalle autorità, tuttavia non si può non ricordare che c’è un secondo provvedimento approvato quasi in contemporanea, che è quello della norma europea sul ripristino della natura, che obbligherà gli Stati membri a ripristinare almeno il 20 per cento degli habitat entro il 2030, il 60 per cento entro il 2040 e il 90 per cento entro il 2050. È chiaro che, seppur, emanate con le migliori intenzioni, queste iniziative, combinate con un recepimento nazionale “oltranzista animalista” o semplicemente in malafede possono mettere in serio pericolo non solo l’attività venatoria, ma anche in generale tutte le attività rurali e agricole. Basti pensare per esempio ai calendari venatori approvati a livello locale, contro i quali a questo punto le associazioni animaliste, in aggiunta agli ormai consueti ricorsi amministrativi, potranno giocare anche la carta dell’accusa di ecocidio, al fine di mettere pressione nei confronti degli amministratori pubblici.