Molti appassionati italiani, specialmente se già si trovano negli “anta”, ricorderanno ancora alla fine degli anni Ottanta in vendita nelle armerie curiose cartucce per revolver, caratterizzate da un proiettile cilindro-conico blindato: le Metal piercing.
Queste cartucce in realtà hanno una storia piuttosto lunga, visto che i primi lotti furono realizzati ancora nella seconda metà degli anni Trenta e la loro produzione è proseguita, appunto, fino all’alba degli anni Novanta del XX secolo. Ma cosa sono queste Metal piercing? E perché furono inventate?
Gangster contro G-men
Negli anni Trenta, anche dopo la fine del cosiddetto proibizionismo, negli Stati Uniti gli operatori delle forze dell’ordine, federali e statali, soffrivano spesso di una mancanza di potenza di fuoco rispetto alla criminalità organizzata, la quale si poteva avvalere di pistole mitragliatrici, addirittura fucili automatici Bar 1918, pistole semiautomatiche, fucili a pompa e semiauto calibro 12 e così via. Il tutto, caricato su automobili veloci, gestite con spregiudicatezza. Anche la polizia (e in particolare l’Fbi) disponeva di armi automatiche, ma l’armamento tipico individuale era costituito dal classico revolver, caricato con munizioni in piombo nudo. Le quali, spesso, quando si trattava di sparare ai veicoli dei malviventi, dimostravano tutti i propri limiti, anche banalmente contro le spesse lamiere delle portiere, per non parlare dei giubbetti antiproiettile dei quali molti malviventi erano dotati. Da qui l’esigenza di disporre di un proiettile che, senza raggiungere la complessità produttiva di un nucleo perforante (armor piercing), potesse garantire la necessaria efficacia sia contro le portiere, sia al limite anche contro il blocco motore delle automobili, sia contro i giubbetti dell’epoca. Furono quindi realizzate, da parte di Winchester, le Metal piercing, caratterizzate da una elevata velocità iniziale e da un proiettile di 158 grs di peso, costituito da un nucleo in piombo con profilo cilindro-conico, sormontato sull’ogiva conica da una camiciatura in lega di rame, di forte spessore. Questo caricamento fu proposto principalmente sia in .38 special (normale e poi +P) sia nel neonato .357 magnum, più raramente in altri calibri come il .45 acp, e rimase in produzione per molti anni. In molti casi la distribuzione era riservata alle forze dell’ordine, ma alcuni lotti furono venduti anche sul mercato commerciale.
L’evoluzione e la fine
I caricamenti Metal piercing rimasero praticamente immutati fino alla seconda metà degli anni Settanta, allorché si decise di sostituire la camiciatura in lega di rame, che interessava solo la parte apicale del proiettile, con una camiciatura in ferro nichelato, che avvolgeva anche le pareti laterali del proiettile e non solo l’ogiva (foto sotto). Oltre che da parte di Winchester, questo caricamento fu messo in catalogo anche dall’europea Geco, sempre sia in .357 magnum, sia in .38 special.
L’era del Metal piercing era, comunque, ormai segnata verso un irreversibile tramonto: da un lato, ormai sia l’Fbi sia le polizie statali e locali statunitensi si stavano orientando sempre più verso le pistole semiautomatiche, dall’altro le varie agenzie consideravano più efficaci, comunque, proiettili blindati a punta cava, espansivi, visto che in effetti il proiettile Metal piercing offriva una efficacia di penetrazione solo marginalmente superiore rispetto a una blindata convenzionale e che non offriva, ovviamente, alcuna capacità espansiva. Con la fine degli anni Ottanta, quindi, le munizioni Metal piercing uscirono dai cataloghi delle aziende, entrando a far parte della storia e del collezionismo.