Tragedia nel Padovano, un padre uccide i due figli e poi si suicida, con un coltello. Ancora una volta si dimostra che non serve un’arma da fuoco per commettere questi atti insani e che il rimedio va cercato nelle cause profonde, non nel mezzo
Non possono esserci parole per definire quanto accaduto pochi giorni fa a Trebaseleghe, in provincia di Padova, dove Alessandro Pontin, padre separato, ha approfittato del fatto che i due figli adolescenti fossero con lui per il weekend per aggredirli mortalmente, volgendo poi la stessa arma contro di sé con esito altrettanto letale. Anche in questo, come in tantissimi altri casi, diversamente da quanto vorrebbero far credere gli anti-armi, non è stato necessario avere il porto d’armi o la disponibilità di un’arma da fuoco. Nonostante le vittime designate fossero due, e già sufficientemente grandi per tentare una efficace reazione, il coltello, l’oggetto di uso comune più banale, presente in qualsiasi cucina di qualsiasi casa italiana, non ha lasciato scampo.
Allora forse, invece di concentrarsi in modo ossessivo, ma anche poco utile, sul “mezzo” che viene utilizzato per compiere questi omicidi in ambito famigliare (che, ricordiamo, rappresentano la metà degli omicidi totali in Italia), sarebbe più opportuno concentrarsi su quelli che sono gli elementi premonitori di queste tragedie e, di conseguenza, come poter rendere evidenti al di fuori della famiglia le situazioni di disagio, in modo da consentire alle autorità competenti e alle strutture del nostro sistema sociale di intervenire con tempestività ed efficacia.
È un fatto che molte separazioni, in questi ultimi anni, vadano a innestarsi su situazioni economiche della coppia di genitori già molto precarie, che vengono ulteriormente deteriorate dalla necessità di provvedere a doppie spese di abitazione e così via. Su questo si innescano meccanismi, spesso tipici del genitore maschio ma non solo, che confondono l’avere figli con il “possedere” i propri figli. E così via.
È un altro fatto, purtroppo, che anche per quanto riguarda le dinamiche relative ai maltrattamenti nella sfera famigliare (che possono fungere da campanello d’allarme prima che accadano fatti più gravi), la percentuale di vittime che denunciano è ancora molto, troppo bassa. E ancora oggi, nonostante i passi in avanti compiuti in particolare con la riforma normativa cosiddetta del “codice rosso”, denunciare o comunque riferire i fatti alle forze dell’ordine non sortisce effetti determinanti per la sicurezza dei componenti “deboli” del nucleo famigliare.
Questo cosa significa? Semplicemente che, purtroppo, la dinamica degli omicidi nell’ambito famigliare è una dinamica complessa, che richiede interventi complessi. Assumere come capro espiatorio degli omicidi in famiglia la mera disponibilità di armi da fuoco è senz’altro una comoda scorciatoia per ripulirsi velocemente la coscienza, ma non ferma la scia di sangue, come purtroppo confermato dai fatti. Occorre un approccio meno demagogico, più serio e soprattutto multidisciplinare. Se si vuole ragionarci tutti insieme, noi ci siamo. Se il concetto è che si deve partire dalla demonizzazione aprioristica di una categoria di cittadini, scusateci tanto, ma ci troverete sempre sull’altro lato della barricata.