Un carabiniere spara per difendere sé e la fidanzata da una pistola puntata alla testa: scattano immediatamente i distinguo da parte delle “anime belle”
Ancora non è stata neanche formalizzata con precisione l’accusa al carabiniere che ha sparato ieri, uccidendolo, a un sedicenne napoletano che, arma in pugno (poi rivelatasi, ma solo dopo, fasulla) lo ha minacciato per impadronirsi dell’orologio, che già in tanti, ma vorremmo dire anche in troppi, si sprecano in distinguo ed eccezioni, chiedendosi per esempio se “un Rolex vale la vita di un ragazzo” e argomentando anche che “non si capisce quale necessità vi fosse di sparargli tre volte, era già ferito”.
Evidentemente a questi signori sfugge che quando un malvivente (l’età conta ben poco, purtroppo, quando si ha una pistola in mano) ti punta una pistola alla testa, in ballo non c’è il Rolex, bensì la propria vita e la vita di chi si ha accanto (in quel caso, la fidanzata). Perché nella frazione di secondo che hai a disposizione per decidere, non puoi sapere se a) la pistola è vera o finta, b) se il tuo aggressore è pippato come una scimmia di stupefacenti o ha il controllo della situazione, ma soprattutto c) se una volta che avrà avuto l’orologio gli sarà sufficiente o riterrà comunque opportuno spararti un colpo addosso per far capire a tutto il quartiere “chi è che comanda”.
A questo giovane, della cui morte ovviamente non si può gioire, è capitata la sfortuna di cercare di rapinare un carabiniere fuori servizio, il quale può legalmente girare con la propria arma d’ordinanza. Fosse capitato a un normale cittadino, ovviamente non vi sarebbe potuto essere alcun tipo di reazione perché i cittadini in possesso di porto di pistola per difesa personale sono ormai estinti (per precisa volontà ministeriale). Quindi, ammettendo che la pistola fosse vera e non finta e ammettendo che al giovanotto fosse tremata la mano un po’ più del necessario, oggi probabilmente leggeremmo un trafiletto in ottava pagina su un cittadino ammazzato a Napoli, e chi s’è visto s’è visto.
Oppure, se fosse stato un carabiniere, per esempio un Cerciello Rega, la preoccupazione dei medesimi soggetti sarebbe tutta nei confronti dell’eventuale foulard messo sugli occhi dell’indagato, nella caserma dei carabinieri, mentre apparentemente nessuno ha niente da osservare o da ridire sul fatto che un gruppo di “amici” dello sfortunato giovane considerano normale sparare (questa volta per davvero, anche se conviene ricordare agli smemorati che comunque una rapina commessa con una scacciacani è una rapina a mano armata) contro una caserma dei carabinieri per “vendicare” la morte del loro coetaneo. Tutto normale, ovviamente. Anzi, peccato che non abbiano colpito anche un carabiniere o due, così almeno “siamo pari”.
Be’, sapete che c’è? Che per noi non siamo pari. Per noi la vita di un giovane, anche giovanissimo, che ha scelto la via del crimine non è uguale a quella di un servitore dello Stato. E no, continuiamo a non considerare normale che si possa puntare un’arma (a volte finta, spesso purtroppo vera) alla tempia di un cittadino senza pensare che poi qualcuno ti presenti il conto di quanto stai facendo. Non consideriamo, e ci dispiace tanto, normale che la famiglia della vittima manifesti il proprio dolore devastando un pronto soccorso.
No, scusateci tanto, per noi non è normale. E sì, la vita e l’incolumità di un carabiniere e della sua fidanzata, per noi, continuano a valere di più di quella di un rapinatore.