Con sentenza n. 13290 dell’11 agosto 2023, la sezione prima stralcio del Tar del Lazio ha respinto il ricorso di un cittadino che chiedeva la restituzione del porto di fucile per Tiro a volo e delle armi, ritirati l’uno e le altre dall’autorità di pubblica sicurezza in seguito al fatto che il cittadino medesimo è stato denunciato per porto senza giustificato motivo (ex art. 4 legge 110/75) di un coltello.
Il cittadino, peraltro, era stato trovato in possesso del coltello all’interno dello stesso commissariato di polizia e, nell’immediatezza dei fatti, aveva dichiarato che gli serviva per “difesa personale”, salvo poi, in un secondo momento, dichiarare che invece lo portava con sé per portarlo a riparare da un arrotino.
Il Tar del Lazio ha ritenuto congrui i provvedimenti cautelativi adottati dall’autorità di pubblica sicurezza, argomentando che “il diniego, ovvero la revoca del porto d’armi, nonché il divieto di detenzione delle stesse costituiscono esplicazione di potestà connotata da ampi margini di discrezionalità; la detenzione e il porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di comune buona convivenza, tale da non destare il sospetto di un possibile uso improprio delle armi, ovvero un giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio che egli possa abusare delle armi; la valutazione dell’Autorità di pubblica sicurezza è caratterizzata, indi, da ampia discrezionalità, perseguendo lo scopo di prevenire, per quanto possibile, i delitti (ma anche i sinistri involontari), che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili; tanto che il giudizio di non affidabilità è per certi versi più stringente rispetto a quello di pericolosità sociale, giustificando per esempio il diniego anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta (solo da ultimo, CdS, III, 28 dicembre 2021, n. 8701; Id., id., 12 novembre 2021, n. 7551).
Le condotte poste in essere dal ricorrente, e le circostanze di tempo e di fatto in cui esse si collocano –possesso di un coltello di grosse dimensioni, collocato all’interno di un borsello, con il quale il ricorrente “liberamente” circolava e che trasportava anche all’interno di un ufficio di pubblica sicurezza- quivi neanche contraddette nella loro ontologica materialità, appaiono già ex se idonee ad ingenerare serie perplessità sulla affidabilità di esso ricorrente in ordine ad un accorto ed appropriato uso delle armi; l’episodio si appalesa affatto riprovevole e assume vieppiù pregnanza ove si abbia riguarda anche alle contraddittorie spiegazioni all’uopo fornite dal ricorrente: in un primo tempo, e nella immediatezza dei fatti, il ridetto coltello –sul pacifico presupposto, indi, della sua idoneità ad offendere- sarebbe stato necessario a fini di difesa personale; in un secondo tempo, siccome rappresentato nel corpo delle deduzioni procedimentali successive, esso coltello, utilizzato per la potatura, sarebbe stato “trasportato” dal ricorrente in quanto “inidoneo all’uso” –per un “guasto” occorso durante la ridetta potatura- e dunque abbisognevole dell’intervento riparatore del tornitore; un tale ondivago e contraddittorio incedere argomentativo, connota anche gli scritti giudiziali, ove alla tesi del “coltello rotto” e della “potatura” si affianca, con estrema disinvoltura, quella per cui, in ogni caso, le “armi” sarebbero in ogni caso necessarie al ricorrente per difesa personale; nel preambolo del gravato provvedimento, d’altra parte, l’Amministrazione ha dato conto della effettiva natura delle condotte ascritte dal ricorrente, della contraddittorietà delle giustificazioni all’uopo fornite e della loro inconferenza (in punto di necessità di difesa personale) ovvero non veridicità (trattandosi, di contro, di un coltello usurato ma, comunque, idoneo all’uso e all’offesa); la condotta inizialmente ascritta, unitamente al contegno “giustificativo” poscia perpetrato, sono stati congiuntamente valutati dalla resistente Amministrazione ed apprezzati nella loro significanza e grado di disvalore, in quanto tali incidenti sugli indefettibili requisiti di buona condotta ed affidabilità necessari per il possesso di una licenza di porto d’armi, al di là ed a prescindere da risvolti di matrice penale che in questa sede non vengono in rilievo; anche la collocazione temporale dei fatti de quibus, risalenti a qualche mese prima della emanazione del provvedimento di revoca, depone per la “attualità” del giudizio prognostico che esso provvedimento ragionevolmente fonda. In definitiva, il provvedimento gravato è ben giustificato allorquando –come nel caso in esame, in ragione delle cennate circostanze e all’esito di un procedimento valutativo che si appalesa immune da vizi di logicità e ragionevolezza- la Amministrazione reputa non sussistente la certezza della completa affidabilità del soggetto nell’uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità”.