La prima sperimentazione, nel 2001, fallì miseramente: il primo tester, un detenuto peruviano, ci mise solo due giorni a far perdere le proprie tracce. Oggi, un nuovo tentativo di sperimentazione del braccialetto elettronico per i detenuti, che dovrebbe assicurare l’impossibilità di spostamenti nella detenzione domiciliare all’insaputa delle forze dell’ordine, è stato compiuto nei confronti di un condannato per rapina impropria, che sta scontando a casa una condann…
La prima sperimentazione, nel 2001, fallì miseramente: il primo tester, un
detenuto peruviano, ci mise solo due giorni a far perdere le proprie tracce.
Oggi, un nuovo tentativo di sperimentazione del braccialetto elettronico per i
detenuti, che dovrebbe assicurare l’impossibilità di spostamenti nella
detenzione domiciliare all’insaputa delle forze dell’ordine, è stato compiuto
nei confronti di un condannato per rapina impropria, che sta scontando a casa
una condanna a sei mesi. Sembra che il fallimento di sette anni fa sia stato
determinato da tre ordini di fattori: impreparazione tecnica, eccessive
aspettative e scelta erronea dei destinatari. Ai domiciliari con il
braccialetto era finito anche un boss pluriomicida, subito ovviamente tornato
in clandestinità. La nuova struttura tecnica prevede la costituzione di tre
centrali operative per ognuna delle 103 province (una per carabinieri, una per
polizia e una per guardia di finanza), collegate 24 ore su 24 alle centrale
unica nazionale di Roma. Una struttura telefonica speciale di Telecom tiene
sotto controllo i braccialetti e viene allertata appena un braccialetto esce
dal raggio d’azione. La tecnologia è già stata sperimentata con successo da
anni in Gran Bretagna, Paese in cui i detenuti dotati di braccialetto sono già
ben 13 mila.