Con sentenza n. 13.383 del 22 agosto, la sezione Prima stralcio del Tar del Lazio si è occupata del ricorso di un cittadino che si è visto rifiutare il porto d’armi da caccia perché, anni prima, era stato condannato alla sola pena pecuniaria, con decreto penale di condanna, per il furto di energia elettrica. Peraltro, in merito alla condanna è già intervenuta riabilitazione.
I giudici hanno accolto il ricorso, osservando che “la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria in sede penale neutralizzerebbe l’operatività dell’automatismo preclusivo al rinnovo del porto d’armi previsto dall’art. 43, comma 1, TULPS, rendendo necessaria una adeguata valutazione da parte dell’Amministrazione in ordine alle circostanze soggettive e oggettive che connotano la fattispecie; infatti il ricorrente risulta condannato, in buona sostanza, per furto di energia elettrica; dunque la giustificazione del diniego risiederebbe non nella mera esistenza di una condanna, quanto nella non affidabilità del ricorrente all’utilizzo delle armi; allora, il provvedimento risulta essere del tutto sprovvisto di un apparato motivazionale specifico, attesa la non sussumibilità del reato in concreto integrato nella nozione di uso delle armi, anzi, la sua palese estraneità, con accoglimento del ricorso sul motivo specifico e annullamento del diniego impugnato, rimettendosi all’amministrazione la valutazione se il concreto atteggiarsi del ricorrente integri l’art.43 TULPS”.