La circolare del ministero dell’Interno dello scorso agosto, che ribadisce l’obbligo per la Ps di ritirare o non rinnovare il porto d’armi a chi abbia precedenti penali anche se remotissimi e ha avuto la riabilitazione, continua a mietere vittime. Una delle più eclatanti, secondo quanto riferito dall’Adige.it, è un 58enne della Val di Fassa che si è visto recapitare il provvedimento di respingimento della domanda di rinnovo del porto da caccia perché nel 1989, cioè 27 anni fa, si macchiò dell’orribile crimine del furto… di un’oca.
La doccia fredda da parte della questura di Trento arriva dopo che in passato il permesso era stato regolarmente rinnovato più volte nonostante gli uffici fossero a conoscenza del vecchio procedente penale, reato per cui il cacciatore aveva ottenuto anche la riabilitazione. Tra i motivi ostativi indicati dall’articolo 43 del Tulps risulta, infatti, anche il furto e non sono previste eccezioni per la particolare tenuità del fatto. Inoltre, l’attuale orientamento del ministero, che si basa su un parere del consiglio di Stato, è che anche se il precedente penale è remoto nel tempo ed è intervenuta riabilitazione, l’autorità non abbia alcuna discrezionalità nella valutazione della personalità attuale del soggetto, ma debba obbligatoriamente procedere al rifiuto.
Per parte nostra, continuiamo a sostenere l’assoluta incostituzionalità di questa interpretazione dell’articolo 43, che contraddice alla base i requisiti di rieducazione del reo enunciati dalla nostra carta fondamentale, per non parlare comunque del principio fondamentale di proporzionalità della pena.