Remington ha raggiunto un accordo con i famigliari delle vittime della strage perpetrata da uno squilibrato alla Sandy Hook elementary school di Newtown, in Connecticut, nel 2012: l’accordo prevede il pagamento di un risarcimento per complessivi 73 milioni di dollari e chiude la vicenda processuale avviata dai famigliari stessi nel 2015.
In particolare, i famigliari imputavano a Remington la responsabilità di aver posto in commercio un’arma, cioè la carabina Bushmaster Xm15-E2S calibro .223 Remington, utilizzata dall’attentatore, arma che sempre secondo i famigliari (meglio, i loro avvocati) non avrebbe dovuto essere messa in commercio, perché troppo potente.
In particolare, tra i motivi legati al ricorso giudiziario dei parenti delle vittime, c’è una campagna pubblicitaria realizzata dal gruppo Remington proprio per promuovere la vendita della carabina in questione, nella quale si accompagnava la foto dell’arma con lo slogan “consider your man card reissued”: con il termine “man card” si fa riferimento in particolare alla qualità e ai comportamenti che devono avere i “veri” uomini per appartenere al consesso dei propri simili, comportamenti che prevedono l’uso di determinati capi d’abbigliamento, abitudini eccetera. Un accenno tutt’altro che velato, insomma, a quella che con moderna terminologia viene definita “mascolinità tossica”, al fine (secondo i sostenitori di questa tesi) di incentivare le vendite dell’arma, a discapito della pubblica incolumità. Questa forma di comunicazione pubblicitaria è stata considerata, secondo la corte suprema dello Stato, idonea per far ritenere Remington responsabile secondo la legge statale sulle pratiche commerciali scorrette, in deroga alla immunità federale accordata ai produttori di armi in tema di responsabilità civile verso l’impiego illegale dei loro prodotti. Ciò, ovviamente, nonostante le obiezioni dei legali del gruppo Remington, secondo i quali non c’era alcun collegamento tra la pubblicità e l’uso dell’arma da parte dell’autore della strage. Va detto tra l’altro che l’arma utilizzata dal folle attentatore non era stata da lui personalmente acquistata, bensì era stata sottratta alla madre, che era la legittima proprietaria. Vista la situazione, non stupisce che l’azienda abbia poi cercato un accordo transattivo che potesse chiudere la questione, con un esborso finanziario più che doppio rispetto a quanto era stato offerto inizialmente (33 milioni di dollari).
“Questa vittoria”, ha commentato Josh Koskoff, uno degli avvocati dei famigliari delle vittime, “è una sveglia che suona non solo per l’industria armiera ma anche per le compagnie assicurative e le banche che le sostengono: per l’industria armiera è il momento di smetterla di pubblicizzare qualsiasi tipo di arma per qualsiasi tipo di persona e per qualsiasi tipo di impiego e di domandarsi, invece, come il marketing possa abbassare il rischio anziché incrementarlo. Per le compagnie assicurative e bancarie, è il tempo di riconoscere i costi finanziari associati all’appoggio nei confronti di aziende che mirano ad aumentare i propri profitti incrementando i rischi per la collettività”.
Anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden (schierato, come è noto, a favore di leggi più restrittive in materia di armi e in particolare sui cosiddetti black rifle) ha commentato: “la perseveranza dei famigliari delle vittime ha dimostrato che le leggi a protezione dei consumatori a livello statale e cittadino, come la legge sulle pratiche commerciali scorrette del Connecticut, possono fornire una opportunità per rendere responsabili i produttori e i venditori di armi, nonostante la persistenza in vigore dell’immunità federale per queste aziende”.