È scaduto alla mezzanotte del 30 giugno il termine per la consegna volontaria, senza domande né sanzioni da parte dell’autorità, delle armi illegalmente detenute dai cittadini serbi. L’iniziativa, promossa dal presidente Aleksandar Vucic dopo il verificarsi di due gravi fatti di sangue a poche ore di distanza l’uno dall’altro, era stata prorogata rispetto al termine inizialmente previsto, che era dell’8 giugno. Il bilancio finale sulla consegna delle armi, reclamizzato con una certa enfasi dalle autorità locali, è stato di 108.883 armi consegnate (tra pistole, fucili da caccia e armi propriamente da guerra) e di 4.243.139 munizioni.
Al di là delle dichiarazioni politiche, appare poco probabile che il quantitativo di armi sequestrato possa mutare in modo significativo gli equilibri nel Paese, in termini di pubblica sicurezza, rispetto al quantitativo di armi che si stima siano ancora, sempre illegalmente, rimaste nelle mani dei cittadini serbi, per i quali il possesso di armi è un vero e proprio culto. Secondo i dati dello Small arms survey (risalenti al 2018), infatti, si stima che siano 39 su 100 i cittadini serbi in possesso di armi da fuoco. Con una popolazione complessiva di 6,8 milioni di abitanti, ciò si traduce in una stima di un minimo (presumendo che ciascun cittadino ne possegga una soltanto) di oltre 2,6 milioni di armi: sottraendo le circa 760 mila legalmente detenute, si ottiene comunque un quantitativo ancora vicino ai due milioni, rispetto ai quali il quantitativo sequestrato (che, a giudicare dalle immagini, è almeno in parte costituito da veri e propri catenacci di scarsa efficienza) rappresenta circa il 5 per cento.
Da questo momento, comunque, le autorità promettono “tolleranza zero” sul possesso di armi illegali, con pene che andranno dagli 8 ai 15 anni di reclusione per i detentori.