Il tribunale di Perugia ha archiviato il procedimento penale a carico di due carabinieri e una guardia giurata, in seguito alla morte di Eduart Kozi, cinquantenne di origini albanesi morto mentre si dava alla fuga dopo una rapina in tabaccheria a causa dei colpi di pistola sparati.
Inizialmente i tre erano stati accusati di omicidio colposo in concorso ma i risultati delle perizie hanno dimostrato come quei colpi esplosi ben 3 anni fa, nell’ottobre del 2018, non fossero destinati all’uomo ma alla macchina in fuga. Il fatto è avvenuto nella frazione di Ponte Felcino, dopo un furto in una tabaccheria e soprattutto dopo che l’auto in fuga ha speronato “almeno due volte” il mezzo delle forze dell’ordine. I tre malfattori (Kozi e due complici) sono partiti sgommando a bordo di una Audi ed è stata proprio quella sgommata ad abbassare fatalmente di pochi centimetri, secondo i periti, l’automobile. Per lo meno quanto è bastato per rendere possibile l’errore di traiettoria che ha ucciso il ladro. Il corpo di quest’ultimo inoltre è stato abbandonato dai suoi complici, di cui non si hanno notizie, e trovato solamente il giorno dopo.
La famiglia dell’uomo ucciso che è da anni in città continua ad opporsi all’archiviazione del caso ma il giudice, tenendo conto delle memorie degli avvocati dei tre indagati, Nicola Di Mario e Alessandro Vesi, ha rilevato le scriminanti dell’adempimento del dovere, dell’uso legittimo delle armi e soprattutto della legittima difesa, poiché i militari cercavano di bloccare la via di fuga ai malviventi. Il modo di agire di quest’ultimi, sempre secondo quanto scritto dal giudice, “è stata quella di porre in essere manovre violente e pericolose pur di aprirsi un varco” non facendo mancare “ripetuti speronamenti” e “percorrendo traiettorie tali da mettere in pericolo anche l’incolumità fisica del vigilante”.
Solo allora la guardia giurata e i carabinieri hanno aperto il fuoco. A comprovare che il bersaglio era l’automobile e non l’uomo sono stati gli otto colpi, su quattordici, ritrovati sull’auto. “Ciò comprova”, ha concluso il giudice, “che gli indagati hanno avuto di mira l’autovettura e non già alcuno dei malviventi”. Per questo è stata possibile la teoria della “sussistenza della legittima difesa putativa ingenerata” per il carabiniere che ha esploso il colpo. Soprattutto perché, come scritto anche nella documentazione, “la situazione di pericolo è stata creata dagli stessi malviventi”.