Abdalmasih H, siriano di 31 anni, rifugiato da anni in Svezia, ha impersonato il più macabro degli scenari antico-testamentari e interpretato alla lettera le indicazioni che organizzazioni come Daesh divulgano ormai da anni, anche se in questo caso, paradossalmente, l’insano gesto è stato accompagnato da farneticazioni non già inneggianti ad Allah, bensì al Dio dei cristiani, con tanto di accompagnamento di crocifisso al collo.
Già, perché proprio Daesh, come più volte ci siamo trovati a commentare, pubblicò ormai anni orsono il numero 2 di Rumiya, rivista digitale il cui inserto “Just terror tactics” era in quel numero dedicato allo stabbing, vale a dire agli attentati a mezzo dell’arma bianca, illustrando come scegliere gli scenari più paganti, le lame più appropriate e le tecniche più efficaci. Il coltello, infatti, è strumento praticamente indifendibile anche se a impugnarlo sono persone poco esperte, è facilmente reperibile e occultabile e non richiede nessuna abilitazione all’acquisto, né risente, per ovvie ragioni, di alcun tracciamento.
Altrettanto spesso ci siamo soffermati, poi, a riflettere su come l’accoltellamento sia modalità di azione così raccapricciante da impressionare il mondo occidentale praticamente senza confini, data la rapida diffusione di immagini e notizie tramite il web. E con loro la diffusione del terrore. Già ci si affretta a precisare, di qua e di là dalle Alpi, che non si tratterebbe di attentato terroristico, ma poco conta: il terrorismo risponde alla domanda “perché”, non alle domande “come”, “dove” e “quando”. Potremmo dire che si presenta quale movente delle azioni e ne lasciamo la qualificazione a chi di competenza. Le risposte alle altre domande, invece, rendono questo episodio l’attentato perfetto.
Come nell’antico testamento
L’elemento di novità di questo ultimo feroce attacco, però, sta nella scelta di un parco giochi per prima infanzia quale bersaglio. È ovvio che rivolgere un attacco verso creature indifese come bambini in tenera età rende lo scenario ancora più raccapricciante e impressionante, proprio in linea con l’obiettivo di diffusione massima del terrore tipico dei player jihadisti.
È uno scenario che, inoltre, è in grado di attivare in tutti noi, occidentali cresciuti sotto l’effetto del modellamento di dottrine mediorientali, un’impressione ancor più radicata, perché si tratta di fenomeno assolutamente tipico di quella tradizione che, in un modo o nell’altro, è stata esportata in occidente nella sua rivisitazione ellenistica, vale a dire il cristianesimo.
L’importanza dei first responder
Commentando fatti di questa portata, ci si è trovati numerose volte negli ultimi anni anche a rilevare la estrema importanza dell’intervento da parte dei presenti nel contenimento dei primi momenti di queste azioni.
Con ogni ovvia differenza dovuta a presidio del territorio, ovviamente mutevole da luogo a luogo, è un dato di fatto che i soccorritori istituzionali hanno comunque tempi e modi di attivazione e ovvi tempi di intervento. È così che i danni delle azioni di questi soggetti possono essere contenuti dall’intervento di chi si trova a essere, suo malgrado, coinvolto dallo scenario. Semplicemente perché già presente!
Anche nel caso di Annecy, infatti, il video in circolazione ritrae un passante che fronteggia l’assalitore utilizzando uno zaino come distanziatore, comunque contribuendo a impegnarlo fosse anche per una manciata di secondi… probabilmente in questo momento c’è qualcuno che gli deve la vita.
E noi siamo disarmati
Nascono quindi spontanee le domande che, ancora una volta, riproponiamo da anni: come possiamo difenderci in un momento storico in cui si stringono sempre più le maglie alla legittima detenzione di armi agli onesti cittadini?
Già, perché se consideriamo da un lato la facilità di reperimento di armi di provenienza illecita e la libertà di azione di queste e altre tipologie di offender e dall’altro la crescente demonizzazione delle armi e pressione su chi legalmente le detiene ci rendiamo conto di come la forbice sia ormai enorme. È un modello che non funziona.
Ne sono esempio lampante le gun-free zone, di cui scriviamo da anni, che negli esperimenti condotti Oltreoceano hanno semplicemente e solamente facilitato l’azione di lupi ben consapevoli e contenti di attaccare recinti pieni di agnelli sprovvisti di cane da pastore.
A nessuno piace l’idea di doversi potenzialmente proteggere ogni volta che si esce dalla porta di casa, ma il mondo è così ed è sempre stato così. Non si dia la colpa per forza ai tempi moderni, perché occorre ricordarci che noi siamo i discendenti di chi, uscendo dalla caverna, guardava bene a destra e a sinistra e magari portava con sé un’ascia di selce… se mi si passa l’immagine. Certo, se possibile le cose sul caro vecchio suolo europeo stanno degenerando forse come mai prima d’ora. A maggior ragione pensare di potersi difendere nel qui e ora da un’azione del genere e in attesa dei soccorsi istituzionali può fare la differenza tra la vita e la morte.
Anzi, anche solo la consapevolezza di avere il diritto di poterci provare può fare la differenza, quanto meno in termini di approccio mentale allo scenario.
È questo il più grande gap: la crescente e serpeggiante convinzione di non aver nemmeno più diritto a un tentativo di difesa. Consolidare un mindset da poveri agnelli destinati al macello è l’inizio della fine.
E il fatto che ci sia sempre qualche aspirante regista con videofonino, anziché aspirante eroe con manico di scopa, ne è triste testimonianza.