Giuliano Gemma è morto ieri sera, a 75 anni, in seguito a un grave incidente stradale avvenuto a Cerveteri, vicino a Roma. Nato nella capitale il 2 settembre 1938, emiliano di adozione (trascorre la primissima infanzia a Reggio Emilia), Gemma arriva al cinema giovanissimo, ma quasi per caso e grazie alla passione sportiva. Ha appena 20 anni quando strappa la prima apparizione su un set ("Venezia, la luna e tu" di Dino Risi) e, appena due di più, quando il giovane Duccio Tessari lo scopre sul set di "Messalina". Tessari se ne ricorderà nel 1962, al momento di debuttare con il mitologico "Arrivano i titani" e gli affiderà il ruolo del forzuto Crios. Scelta azzeccata, sia perché il ragazzo ha alle spalle una buona carriera d'atleta con predilezione per il pugilato, sia perché la passione del cinema lo ha portato a girare i set di Cinecittà come comparsa e stuntman, lavori grazie ai quali è stato anche al fianco di Charlton Heston in "Ben Hur" e di John Barrymore ne "I cosacchi".
Che Gemma non passi inosservato sulla scena del cinema italiano lo conferma anche la scelta di Luchino Visconti che, nello stesso 1962, lo vuole a fianco di Alain Delon e di Mario Girotti (poi Terence Hill) per dar vita al gruppo garibaldino del "Gattopardo". Diventa divo grazie al western. Ancora in Tessari, nel 1965, gli affida il ruolo da protagonista nello spaghetti western "Una pistola per Ringo". Un successo: l'unico personaggio che rivaleggi in popolarità con il pistolero senza nome inventato da Sergio Leone per Clint Eastwood. Giuliano Gemma prende parte una decina di volte ai western all'italiana e ogni film è un successo, tanto da diventare popolarissimo anche all'estero, dall'America al Giappone. Il servizio militare lo ha fatto nei Vigili del fuoco di Roma, guadagnandosi onori e fama: il fisico conta, ma è un artista che fa anche cinema d'autore (da "Corbari" di Valentino Orsini, 1971 a "Delitto d'amore" di Luigi Comencini, 1973 a "Circuito chiuso" di Giuliano Montaldo, 1978).
Prova la commedia ("Anche gli angeli mangiano fagioli", 1972), cerca la guida dei grandi maestri ("Il deserto dei tartari" di Valerio Zurlini, 1976), sceglie modelli epici ("Il prefetto di ferro" di Pasquale Squitieri, 1977) e autoironici ("Speriamo che sia femmina" di Mario Monicelli, 1986). Offre il suo volto al leggendario Tex Willer di Monelli in "Tex e il signore degli abissi", ancora una volta con il fido Duccio Tessari nel 1985.
Approda all tv, recente la serie de "Il capitano". Divo di quasi 100 film, aveva scoperto di recente la passione per la scultura, arte che ha coltivato insieme allo sport (scalate, sci, paracadutismo, ma anche tiro western) e alla recitazione.